In Spagna , una grande mostra — Dalì – Tutte le suggestioni poetiche e tutte le possibilità plastiche — riapre il “caso Dalì”, il maestro del surrealismo, e subito ecco inquietarsi la “buona stampa” italiana (con l’inserto “il Venerdì di Repubblica” in testa) che pone l’interrogativo maligno (fenomeno della pittura o fenomeno da baraccone ?) giocando sulla venalità dell’artista e sulla crescita esponenziale dei multipli delle sue opere. Poco importa che la mostra sia l’evento culturale dell’anno dopo l’enorme successo riscontrato dall’esposizione al Centre Pompidou di Parigi, con circa ottocentomila visitatori in quattro mesi o che si tratti della prima retrospettiva del geniale pittore di Figueres ospitata in Spagna negli ultimi trent’ anni. Ancor meno sembra interessare che la grande mostra al Museo Reina Sofia di Madrid riunisca, per la prima volta, duecento “pezzi” provenienti da importanti istituzioni, collezioni private e dai tre principali depositari dell’arte dell’artista spagnolo (la Fondazione Gala-Salvador Dali, il Salvador Dali Museum di St. Petersburg, in Florida, e lo stesso Museo Reina Sofia) proponendo una trentina di opere mai esposte prima in terra iberica: “La persistencia de la memoria” (1931) e “El angelus de Gala” (1935), prestate dal MoMa di New York; “Metamorfosis de Narciso” (1937), della Tate Modern di Londra; “La tentacion de San Antonio” (1946), dei Musees Rouyaux des Beaux-Arts del Belgio; “Alucinacion: seis imagenes de Lenin sobre un piano” (1931) del Centre Pompidou.
Per quanto considerato, di volta in volta, buffone, pagliaccio, pazzo, genio, eccentrico, esibizionista, kitsch, narcisista, paranoico, nevrotico, cannibale, dandì, performer, ridurre Salvador Dalì ad una sorte di mistificatore in cerca di successo e di denaro serve evidentemente a “camuffare” l’essenza del personaggio, ultimo dei grandi geni della pittura, in un secolo che di geni ne ha proposti a decine, trasformandolo in un’icona folkloristica ed innocua, un po’ voyeuristico un po’ porno-fenomeno alla rovescia.
Tanta esasperata “faziosità” non arriva per caso. Evidentemente infastidisce ancora la sua prorompente forza iconoclastica verso gli “idola” di una cultura in balia dell’ideologia e di un realismo soffocante, insieme ai rapporti che Dalì ebbe con il franchismo, scandalo nello scandalo di un artista “fuori dal coro”.
Durante la guerra civile di Spagna, Salvador Dalì decise di non schierarsi. A quanti chiedevano il suo orientamento politico, egli rispondeva “non sono né stalinista, né hitleriano… sono DALINISTA!” Ciononostante le sue simpatie per Francisco Franco erano già conosciute. Nel 1936 Breton decise di espellerlo dal movimento surrealista parigino (tradizionalmente d’ispirazione comunista e anarchica). Dalì rispose all’espulsione con la mitica frase “¡No podéis expulsarme porque el Surrealismo soy Yo!” (Non potete espellermi, perché il surrealismo sono io!)
Dopo l’esilio americano, nel 1949 l’artista tornò a vivere in Catalogna. La scelta di rimanere in Spagna nonostante la dittatura del generale Franco gli attirò aspre critiche da parte di numerosi progressisti e artisti, incluso il vecchio amico Buñuel, che non gli perdonerà mai l’adesione al franchismo.
Gli anni Cinquanta lo vedono riavvicinarsi alla pratica del cattolicesimo: sposa Gala con rito religioso, riscopre il rinascimento italiano e stempera il suo ossessivo surrealismo con immagini più sobrie ed equilibrate. Del 1951 è una delle sue tele più famose, il Cristo di San Giovanni della Croce, che combina il classicismo figurativo con un’insolita prospettiva in cui mette il crocifisso, come visto dagli occhi di Dio, dall’alto verso il basso. Nel 1964 Dalì viene insignito della Gran Croce di Isabella la cattolica (la massima onorificenza spagnola). Questa fase della sua carriera è peraltro caratterizzata dalla sperimentazione di nuove tecniche artistiche e di comunicazione mediatica: realizza opere sviluppando macchie d’inchiostro casuali lanciate sulla tela ed è tra i primi artisti a servirsi di olografie, gira un filmato pubblicitario per conto della cioccolata Lanvim e disegna il logo del Chupa Chups. Diversi anni dopo, Andy Warhol gli riconoscerà di avere esercitato una grandissima influenza sulla Pop art, dedicandogli nel 1966 un cortometraggio documentario.
Insomma un personaggio “totale”, su cui vale ancora la pena interrogarsi, piuttosto che tentare ridicole “stroncature” ed una figura fuori dall’ordinario, ben consapevole di essere tale, che di sé amava dire: “Ogni mattina, appena prima di alzarmi, provo un sommo piacere: quello di essere Salvador Dalí” !