Con un indubbio coraggio, Fanny Ardant ha portato sul grande schermo l’intenso romanzo di Jean Daniel Baltassar, Le Divan de Staline. Un’incursione ardita nei meandri mentali del dittatore sovietico nell’ultima fase della sua vita.
La trama è intrigante: nel 1953, Stalin, interpretato da un superbo Gerard Depardieu, decide di prendersi una vacanza in compagnia della sua vecchia amante, la sempre fascinosa Emmanuelle Seigner, e apre con lei, sul filo della psicanalisi, un gioco sottile quanto pericoloso e torbido. Toccherà alla confidente del desposta, sempre più paranoico, analizzare ogni sera i suoi sogni e i suoi incubi. Passo dopo passo, riafforano fantasmi e paure, rimorsi e rancori insepolti, tutti infilati in un percorso angoscioso e tortuoso, accartocciato nelle bugie. Un mondo senza verità, senza luce. Tutti mentono (per paura, devozione, conformismo, stupidità) al capo supremo, ma anche il compagno Stalin mente a se stesso. Alla fine, il comunismo è solo una menzogna in cui nemmeno il leader supremo crede sul serio. Da vedere (sperando che arrivi in Italia…).
“Tar”, una pietra miliare oscurata dall’ideologia woke
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