Generosamente sostenute dai contributi ministeriali, due attrici hanno esordito alla regia. Entrambe con risultati tutt’altro che felici. Jasmine Trinca, attrice non proprio bravissima e dalla pesante dizione romana, ha presentato alla scorsa edizione del festival di Cannes il suo primo lungometraggio, Marcel! (dal nome del cane al centro, suo malgrado, della vicenda). In una assolatissima Garbatella una ragazzina (l’esordiente Maayane Conti; a parte per l’appunto il cane, nessun personaggio ha un nome), orfana di padre, patisce (oltre alla fame, e alla cotta per una ragazza più grandicella che non se la fila) la disattenzione della madre (Alba Rohrwacher), artista di strada (come dirà la cugina, interpretata da Valentina Cervi: si illude d’essere la sintesi di Pina Bausch e Marcel Marceau) che, resa folle dalla perdita del marito e imbecille dalla cannabis, divide le sue giornate tra lo spettacolo da mimo (“Pour toujours Marcel!”) col quale idolatra il cagnolino e la consultazione dei ching.
Dopo un gesto orribile della ragazzina, il bizzarro duo intraprende un breve viaggio dal cimitero acattolico di Porta San Paolo alle campagne laziali: ne torneranno più sconvolte di prima, attorniate da una galleria di personaggi stralunati: la nonna paterna (Giovanna Ralli) che ripete in continuazione quanto fosse bello il figlio e il nonno taciturno (Umberto Orsini), i cugini (di campagna) ricchi (la Cervi e il purtroppo quasi onnipresente nipote della Cederna), l’analista (Valeria Golino) che prova a guarire la madre con uno spettacolo di ombre, lo spettrale ammiratore della madre e il terrificante impresario delle pompe funebri per animali (entrambi interpretati da Dario Cantarelli). Sugli scudi il cameo di Paola Cortellesi, nei panni d’una grottesca televenditrice di bigiotteria.
Molto peggio Romantiche, l’esordio di Pilar Fogliati, romana nata ad Alessandria, attrice per lo più televisiva. Il film è lo sviluppo d’un siparietto del 2017: in vacanza in montagna, la Fogliati intrattenne gli amici imitando le parlate dei quartieri romani; filmata col telefonino, la gag (riuscitissima) spopolò su YouTube.
Le Romantiche del titolo sono quattro ragazze, ognuna titolare d’un episodio proprio (sempre a cominciare dai rispettivi profili Instagram), che in comune hanno le visite dalla stessa psicoterapeuta (Barbora Bobulova): Eugenia, studentessa siciliana fuoricorso che si trasferisce al Pigneto sperando di diventare sceneggiatrice; Uvetta, aristocratica bellissima e tanto ingenua da sembrare ritardata, fidanzata con un pari rango stupidissimo e anaffettivo; Michela, venditrice di scarpe di Guidonia, promessa sposa a un carabiniere, quasi analfabeta ma gentile e generosa anche con chi si approfitta di lei; Tazia, pariolina aggressiva e volgarissima, guru d’un gruppetto di femmine-alpha ipersessualizzate e illetterate.

Il tono resta sempre lo stesso, terribilmente piatto: i personaggi più simpatici sono Uvetta e Michela, ma a nessuna delle due è affidata una qualche gag efficace, una battuta che faccia ridere; Eugenia è (come il luogo comune che impersona: la studentessa fuori sede con aspirazioni da artista e nessuna concretezza) tediosissima (non per nulla la si presenta allo spettatore mentre esaspera un compagno di viaggio), con Tazia non si può simpatizzare. Il talento della Fogliati sta nel mimetismo, nella capacità di immedesimarsi completamente in personaggi diversi: ma al di là della qualità della performance, la mancanza di idee zavorra Romantiche. Anche Virginia Raffaele e Paola Cortellesi sono tecnicamente formidabili, ma hanno anche la prontezza e la genialità delle battute, oltre a tempi comici micidiali; la Fogliati ha presenza scenica (aiutata dall’avvenenza), è una brava interprete, ma non ha una sceneggiatura adeguata. “Solo le zucchine stanno bene con i fagiani, e io non sono una zucchina”: sarebbe patetica come battuta comica: ancora peggio, la si fa pronunciare in scene drammatiche, come fosse una frase seria. Noiosissima la conclusione dell’episodio di Michela (la notte nel “cimitero delle mani”: sembra una canzone di Vinicio Capossela o di Mannarino, vorrebbe essere poetica invece fa solo pena). Particolarmente brutta la scena finale, con Tazia che fa pilates (nulla di male, ci mancherebbe) come rivendicazione d’emancipazione. Si resta come, nella sua ultima scena, la psicologa: basiti. Discreto successo di pubblico, ma non ride nessuno: era meglio il siparietto filmato con lo smartphone.
La piccola protagonista di Marcel! fa la corte a una ragazza; in Romantiche, Eugenia subisce delle avance saffiche, e la psicologa fa notare a Tazia che forse è attratta da una cubista. Il cinema di oggi è una grande succursale di Mykonos: ci sono lesbiche ovunque.
Romantiche di Pilar Fogliati è un’operazione narcisista: chissà perché le protagoniste incontrano sempre qualcuno che dice loro quanto sono belle. Però è un’operazione con un costrutto, portata nei cinema e offerta al pubblico. Marcel! di Jasmine Trinca è più interessante (seppur non sia affatto un bel film), ma è per lo più un capriccio: una delle tantissime micro-operazioni con cui il longevissimo incarico di Dario Franceschini al Ministero dei Beni Culturali ha disperso risorse per anni. Pasquale Squitieri non era un maestro del cinema (non lo era di nulla), ma non aveva affatto torto, quando diceva che il grande problema dei film italiani è la proliferazione di mini-festival, provinciali quando non addirittura comunali, e che sarebbe meglio concentrare risorse, energie e attenzione su pochi progetti ma sostanziosi e ben realizzati; così come più recentemente Pupi Avati ha detto bene che non tutto ciò che sia filmato, musicato o scritto sia per forza “arte” e “cultura”, e che gli enti pubblici dovrebbero sostenere soltanto quei progetti che abbiano un autentico valore artistico e culturale.
Finché la sin troppo generosa regione Lazio stanzia fondi per l’esordio della Fogliati, si può avere comprensione, perché almeno il film è stato portato in sala per ottenere un ritorno; che però si buttino via soldi per il primo film da regista della Trinca, per poterle garantire un cast di prestigio (quella della Cortellesi è stata però una “partecipazione amichevole”, ossia a titolo gratuito) e farle realizzare un film che non ha nessun interesse né commerciale, né artistico (non ci si può nemmeno rintanare dietro la scusa: è troppo di nicchia per essere compreso dal grande pubblico; è un film fatto male e basta) , è l’ennesima dimostrazione di quanto settaria, capricciosa e sterile l’egemonia culturale della sinistra italiana; egemonia che la destra politica non intende scalfire. Avremo pazienza.
Chiedo, pur volendo la destra politica italiana scalfire l’egemonia “culturale” della sinistra, chi esattamente dovrebbe supportare al momento ? La domanda non vuol essere ironica, sono davvero curioso di conoscere quali possano essere le alternative, in campo cinematografico, non allineate al pensiero unico dominante.
Quando posso, leggo sempre i suoi articoli sig. De Brabant e li apprezzo. La Cortellesi proprio non la sopporto.