Non costituisce certo una novità il recente appello del presidente turco Erdogan rivolto ai connazionali residenti in Europa affinché procreino almeno cinque figli per ciascun nucleo familiare. Già nel 1974 il presidente algerino Boumedienne aveva dichiarato all’assemblea dell’ONU: «Un giorno milioni di uomini abbandoneranno l’emisfero sud per irrompere nell’emisfero nord. E non certo da amici. Perché vi irromperanno per conquistarlo, e lo conquisteranno popolandolo coi loro figli. Sarà il ventre delle nostre donne a darci la vittoria».
Il concetto è stato del resto ribadito anche in altre occasioni, in forme solo leggermente diverse. Qual è la nostra strategia di fronte a questa strategia? Essa si riassume, ahimè, in quel dogma di natura para-religiosa che si chiama “cultura dell’accoglienza”. Ci accorgiamo di questo suo carattere assiomatico dal fatto che i suoi fedeli, di solito, non la sostengono con argomentazioni di natura razionale, ma la presuppongono ad ogni ragionamento sul tema delle migrazioni come un indiscutibile principio primo. Che la Sinistra l’abbia sposata, tale cultura, non fa meraviglia: ammettendo pure che molti appartenenti a questo orientamento siano in buona fede, non sfuggirà a nessuno che essa è funzionale al rimpiazzo di un elettorato in fuga con un nuovo proletariato multicolore bisognoso di tutela e padrinaggio. Il loro Carlo Marx direbbe che trattasi di un atteggiamento “ideologico”: proclami un valore assoluto ma in realtà curi il tuo interesse, come abbiamo già cominciato a vedere in occasione di qualche “primaria” del PD.
Beninteso si parla qui di interesse politico, non di coop un tanto a migrante. Qualche sorpresa in più genera il fatto che anche la Chiesa Cattolica fa sua questa idea dell’accoglienza senza se e senza ma, aperta ai migranti economici, politici, bellici, climatici, alimentari, caratteriali, sessuali e quant’altro. Il dubbio sorge perché i religiosi non possono davvero disconoscere che il doppio trend bomba demografica islamica + culle vuote nostrane produrrà alla stessa Chiesa (non dico alla Nazione, di cui evidentemente non gli importa molto) più di qualche problema. Sembrano davvero lontanissimi i tempi in cui l’arcivescovo di Bologna Giacomo Biffi dichiarava: “Dovrebbe essere evidente a tutti quanto sia rilevante il tema dell’immigrazione nell’Italia di oggi; ma credo sia altrettanto innegabile l’inadeguata attenzione pastorale e lo scarso realismo con cui finora esso è stato valutato e affrontato”. Sembrano lontanissimi, ma queste parole furono dette nell’anno 2000, non un secolo fa.
Che cosa è successo, nel frattempo? Che cosa è successo perché la Chiesa dismettesse come un vestito usato quel “realismo” auspicato dal Biffi che l’aveva accompagnata lungo tutti i suoi secoli come una benedizione, una benedizione che la salvaguardava dalle carità pelose degli umanitarismi e dalle orgogliose follie degli altri culti? Mentre noi riflettiamo sulla questione, organizziamo tavole rotonde e facciamo collette, l’appello di Erdogan e di altri come lui è un seme che trova terreno fertile, e tra qualche anno (dieci? venti?) ci potrebbe restare solo la crudele consolazione che una civiltà la quale non è disposta a difendere se stessa non merita di sopravvivere.