E’ la sindrome americana. O, meglio, il tentativo di trasformare la campagna elettorale per regionali e referendum in una grande caccia a fascisti e razzisti immaginari. Una caccia dove, al pari di quanto succede oltreoceano, non contano più le ragioni della politica, oggi assai svantaggiose per Pd e sinistra, ma solo l’affermazione di presunti ideali “buoni” contrapposti all’immagine di un pensiero “cattivo” che va non solo sconfitto, ma demonizzato, odiato e cancellato. E se in America il bersaglio obbligato si chiama Donald Trump in Italia i suoi omologhi sono un Matteo Salvini simbolo del nascente razzismo, una Giorgia Meloni icona del risorgente fascismo e un Silvio Berlusconi bersaglio, anche da malato, di false accuse e ingiurie.L’aggressione a Salvini da parte di una donna di colore, ispirata dai proclami di un sindaco di Ponatassieve pronto a definire ospite non gradito il leader della Lega ne è l’esempio più lampante. Più che un sindaco la signora Monica Marini, primo cittadino di Pontassieve, ricorda, paradossalmente, un podestà fascista. Al pari dei suoi predecessori del ventennio, veri governatori per conto del potere centrale, la Marini non si considera un semplice rappresentante istituzionale, ma l’incarnazione dello spirito popolare e cittadino. E come tale non riconosce a un leader dell’opposizione l’elementare diritto a far campagna elettorale in una città considerata non più luogo da amministrare, ma territorio da custodire su base ideologica e tribale. Con queste premesse non c’è da stupirsi che l’invito raccolto da un’invasata e si trasformi in pericolosa violenza.Il meccanismo non è diverso da quello sperimentato negli States. Lì l’opposizione democratica, ricca, elitaria e forte del sostegno dei grandi media e delle star di Hollywood non si fa scrupoli a soffiare sulla violenza di “Black lives matter” e “Antifa” per seminare disordini, creare vittime e dipingere il presidente Trump come il padrino di un risorgente razzismo bianco difeso da schiere di poliziotti violenti. In questo schema rientra anche il tentativo di attribuire ad una presunta “cultura fascista” l’assassinio di Willy Duarte Monteiro, il ragazzino italo-capoverdiano massacrato da un gruppo di energumeni.Per Alessia Morani, sottosegretaria allo Sviluppo Economico del Pd il delitto è il frutto avvelenato dell’ “odio che viene dalla destra”. E un concetto simile si ritrova nello sconclusionato post, condiviso dall’influencer Chiara Ferragni, che definisce la morte di Willy come la conseguenza della “cultura fascista e sempre resistente in questo paese di m….”.A far più specie è, però, che nelle immagini dei fratelli Bianchi, i presunti assassini tatuati e in pose vagamente minacciose, Alessia Morani e Chiara Ferragni intravvedano soltanto il fantasma fascista. In quei tatuaggi (con cui almeno la Ferragni dovrebbe avere una certa familiarità), nelle pose criminali e nel consumo di droghe sono assai più facilmente identificabili gli stereotipi “culturali” diffusi da fenomeni ben più recenti e presenti. Fenomeni diventati cultura di massa grazie alle truculente serie televisive di Gomorra, ai testi della musica “trap” e a quelle tesi anti-proibizioniste di cui i “comunisti con il Rolex” e e gli appassionati frequentatori delle piazze milanesi del Black Lives Matter – come la Ferragni e il marito Fedez – sono i veri portabandiera.
Travagli post elettorali/ La Lega alla ricerca della sua essenza perduta
C’era una volta la Lega di Bossi,il suo carismatico fondatore, un partito che faceva del radicalmente con le sue origini...
Leggi tutto