Uno dei punti forti della “cultura da bar” è semplificare un concetto in modo da renderlo accessibile anche a un “minus habens” (definizione poco politicamente corretta, ma, quando ce vo’, ce vo’).
Non c’è dubbio alcuno che la tirata immigrazionista di Richard Gere sia stata alquanto stucchevole, ma opporre ai luoghi comuni della cultura dominante la “cultura da bar” tipo “se li porti ad Hollywood” [i migranti] può avere effetto, al massimo, per l’appunto nei bar (dal Bar dello Sport al “Bar Casablanca” – ma questo è già un suggerimento forse troppo “culto”… – con digressioni sul bar del Papeete Beach).

Tuttavia, se non si fa nascere una cultura alternativa di sostanza, si può solo sperare che la gente sia – come in genere sfortunatamente è – MOLTO IMMEMORE, altrimenti ricorderebbe quale esecutivo (e da quali partiti composto…) ha votato senza problema alcuno il trattato di Dublino del 2003, causa degli enormi problemi successivi…
La mia conclusione, quindi, è:
“Relax, don’t do it
When you want to go to it”.
In definitiva, certi inviti funzionano nei bar. Altrove, ci vuol altro. Se poi certe scelte in passato le si è pure condivise, tacere sarebbe più serio, e anche più intelligente (ma questo credo sia un pleonasmo…).