L’ultimo manifesto elettorale di Pieluigi Bersani a maniche rimboccate – serioso, compìto, rigorosamente in bianco e nero – è stato un sintomo non secondario della crisi economica e di fiducia che stringe alla gola il Paese e continua a dettare i titoli di apertura di quotidiani e tg.
Un’immagine tetra, stemperata solo dal guizzo comico – a tratti, geniale – dell’imitazione fatta da Maurizio Crozza nel preludio di “Ballarò”.
“Non siamo mica qui a smacchiare i giaguari…”. No. Più semplicemente lor signori a sinistra continuano a fare giochi sporchi da prima Repubblica, circuiscono con parole d’ordine i cortigiani del proprio elettorato, con l’aggravante dell’aria indignata ma seriosa e composta. Con un posticcio aplomb da statisti responsabili.
Non volendosi soffermare sulla strategia di comunicazione dell’ex ministro Bersani, presto sconfessata dagli ispirati creativi demo-sinistri, si può osservare senza tema di smentita che ancora oggi, in casa Pd, a dominare siano le tinte fosche del bianco e nero. O quelle ancora peggiori del grigio di una strategia elettorale nascosta dolosamente anche ai propri elettori. A quelli stessi militanti chiamati in adunata oceanica a Roma alla vigilia della cacciata – da lungo tempo già decisa in contigui buoni salotti economici e finanziari – del tiranno Berlusconi.
Peccato che le decina di migliaia di militanti chiamati a sfilare in corteo siano letteralmente ignari di essere stati presi per i fondelli da almeno tre anni.
Già, perché mentre Bersani e compagnia di giro si ergevano a baluardi della democrazia contro lo strapotere del Cav e la caduta in rovina finanziaria dell’Italia – mettendo all’indice la scarsa credibilità internazionale dell’esecutivo a guida Berlusconi – si dilettavano nell’antico gioco del triplo fondo morale sepolto nelle cantine delle Botteghe Oscure.
E a dirlo, non è un pasdaran del Cavaliere o un giornalista “asservito” al suo ipotetico “regno” (che già qualcuno, anche solo per paradosso – come Massimo Fini – rimpiange di fronte agli spettri dell’esecutivo Bancomat ora al potere). Già, perché a parlare e a raccontare uno squallido copione strategico, in barba agli interessi del Paese e fottendosene dei tesserati duri e puri superstiti dell’ex Pci, è un’insider trader di lusso: l’ex direttore de ‘L’Unità’, Concita De Gregorio. Che, di fronte ad una platea di studenti e militanti, si toglie qualche sassolino dalle scarpe e racconta, con qualche allusione e reticenza di troppo, la sua versione della strategia Pd a lungo e medio termine vista con gli occhi della giornalista a contatto gomito a gomito con il partito.
E’ un racconto circostanziato, che getta luce anche sul perché un partito, il Pd, in testa secondo la maggioranza dei sondaggi in caso di nuove elezioni, ribalta la testa sotto la sabbia accontentandosi del ruolo di nipotino nobile dell’esecutivo tecnico-asettico guidato dal Professor Monti.
Concita De Gregorio spara a zero, di fronte ad una platea di studenti a Pisa, ricostruendo il difficile rapporto con i vertici del partito e le ragioni di un profondo e continuato alterco che l’hanno portata a lasciare la scrivania dello storico quotidiano fondato da Gramsci.
L’ex direttrice ripercorre un sentiero tracciato dal Pd dalle ultime elezioni regionali fino agli albori del governo Monti.
Un percorso che viene da lontano, da quando Emma Bonino, vista l’assenza di uno sfidante espressione del Pd (dopo lo scandalo Marrazzo), offrì la sua candidatura contro Renata Polverini per lo scranno più alto della Regione Lazio. De Gregorio, alle prese con le linea politica da imprimere al suo giornale, rivela un primo, gustoso retroscena; un incontro con “un altissimissimo dirigente del Pd nella sua splendida sede istituzionale”. Di fronte alla constatata ritrosia del partito nel sostenere la Bonino, teoricamente espressione della coalizione di centrosinistra, comincia a dubitare. E formula al suo interlocutore una domanda ben precisa: “Avete deciso di non sostenere Emma Bonino?”. La risposta “dell’altissimissimo” esponente è ad un tempo cinica e glaciale: “A noi – rivela l’altissimissimo pidiellino – questa volta nel Lazio ci conviene perdere”. E il motivo? “Te lo spiego io: ci conviene perdere perché siccome Renata Polverini è una candidata di Fini (prima della diaspora nel Pdl n.d.r.) la sua vittoria rafforza Fini all’interno della sua posizione critica dentro il centrodestra e quindi lo può convincere a sganciarsi da Berlusconi, cosa che a noi converrebbe perché così si creerebbe il Terzo polo con Casini e noi, avendo a quel punto perso ed essendo arrivati circa intorno al 20% dei consensi, avremmo le mani libere per allearci con Fini e con Casini e per andare finalmente al governo”.
Evoluzioni spericolate di sintassi a parte, il discorso è oscenamente chiaro.
E il disegno degli statisti al vertice del Pd non si limita qui. Ma semina ovunque tracce, intrallazzi ed indizi come il più sprovveduto degli scassinatori.
E’ la stessa Concita De Gregorio a rendere conto nel dettaglio le mosse di questa surreale partita a scacchi, sollevando dubbi e opponendo contestazioni quantomeno ragionevoli, vista la sua posizione di direttore del giornale di riferimento del partito: “Caduto Berlusconi – osserva – spiegare che l’obiettivo intermedio della sinistra sia quello di perdere le elezioni amministrative e la strategia finale la mossa di allearsi con Fini e Casini, secondo me, non troverà l’elettorato d’accordo”. Prudente Concita. Ma la risposta, a stretto giro di posta, esprime un glaciale teorema dell’altissimissimo pidiellino: “Non saremo noi a fare questa operazione: ci penserà la crisi economica”. Intravedendo già a distanza, forse, l’impeccabile Loden di Mario Monti.
Et voilà: Questo lo scenario di lungo periodo teorizzato da tre anni a questa parte. Con alcune parentesi minori ma non meno importanti. Come la manifestazione del ‘Popolo viola’ che mette in imbarazzo la redazione de ‘L’Unità’, bombardata di mail nel silenzio più totale dei vertici del partito. Un fatto che pone in serio imbarazzo la De Gregorio, pietrificata dal conseguente colloquio ottenuto con il segretario del Pd Bersani. Lo stesso che risponde con lapidario, sempre secondo De Gregorio: “Quelli che mandano le mail non vanno a votare”. Quindi contano meno di zero. Alla faccia del partito 2.0.
Il secondo atto va in scena con l’avvio della campagna referendaria e con la manifestazione degli studenti. E anche qui i vertici del Pd giocano una partita da latitanti. Con un funesto ed erroneo vaticinio: “I referendum si perdono di sicuro”. “Facciamo parlare almeno gli studenti”, replica la direttrice de L’Unità, sentendosi rispondere, con pragmatismo autistico, che “gli studenti minorenni non votano e i maggiorenni sono strumentalizzati dai black block”.
E ancora, ricostruisce l’ex direttrice de L’Unità, la questione femminile e l’iniziativa di dare spazio ad una rubrica periodica dal titolo “Il silenzio delle donne”.
Un’idea che i doppi, quando non tripli, moralisti a gettone del Pd scavallano con disinvoltura. “Non vi racconto per carità di patria – ricorda De Gregorio – l’ostilità e la resistenza incontrata dentro la struttura del giornale, dentro la struttura dei partiti di riferimento, dentro la sinistra, perché facevo parlare di questo tema anche le donne di destra (come la moglie del sindaco di Roma Gianni Alemanno, Isabella Rauti n.d.r.). Un progetto che sarebbe andato a finire nel nulla se non fosse stato per l’intervento di qualche voce fuori dal coro come la presidente del partito, Rosy Bindi.
E si potrebbe andare oltre: con i più o meno espressi veti posti alla visibilità sul giornale di riferimento dell’elite pidiellina degli outsiders eretici usciti dalle primarie per le amministrative, come i futuri sindaci di Milano e Napoli, Pisapia e De Magistris. O, ancora con la campagna contro la Casta, la corruzione e i vitalizi avviata e stoppata nell’ultima fase di Concita alla direzione de L’Unità: “E’ arrivata una lettera – rivela oggi – firmata da 100 parlamentari indispettiti dal fatto che il giornale gettava discredito sulle istituzioni”.
E si arriva ai giorni nostri, al governo Monti, alla tregua tra i partiti e alla gigantesca coltre di nebbia che tutto avvolge. “Quello che succede oggi – ricostruisce Concita De Gregorio – è anche il frutto dell’inerzia, della miopia, quando non del dolo, di questa ‘altissimissima’ personalità del Pd, dei suoi accoliti”.
Non resterebbe altro se non un piccolo sforzo ulteriore, messo nero su bianco: fare il nome della “altissimissima” personalità che di tutto ha l’aria, salvo il fatto di essere una fonte da proteggere. Quantomeno dai suoi elettori. Noi un’idea ce la siamo ben fatta. E ben prima di tre ani fa.
L’Atlantismo non è una fede religiosa
Ormai non ci facciamo più caso, ma sui media non cessa l’ossessivo e quotidiano messaggio sull’Occidente minacciato da Est, da...
Leggi tutto