L’inizio del 2022 in Corea del Nord è segnato dalla ripresa in grande stile dei test missilistici: nel solo mese di gennaio sono stati ben sette i lanci di prova, il numero più alto in un solo mese da quando – nel 2011 – Kim Jong Un è salito al potere. I test missilistici effettuati, in realtà, potrebbero essere anche più numerosi di quelli riportati dai media internazionali, considerato che in alcuni casi le fonti di intelligence sudcoreane e giapponesi si sono limitate a segnalare “possibili lanci”.
Tra i sistemi testati anche il missile balistico terra – terra Hwasong 12, il cui lancio è stato confermato lo scorso 31 gennaio da una nota dell’agenzia ufficiale nordcoreana KCNA. L’ultimo lancio di uno Hwasong 12 risaliva al 2017, comprensibile dunque che il test dello scorso gennaio abbia destato particolare allarme tra i Paesi dell’area, in particolare Corea del Sud e Giappone: grazie a questo missile, caratterizzato da una gittata compresa tra i 3mila ed i 5mila chilometri, Pyongyang può minacciare tutti gli obiettivi strategici presenti sul territorio di Seul e Tokyo. E non solo.
La ripresa dei test destinati alla messa a punto dell’arsenale missilistico balistico potrebbe non essere la peggior notizia di questo 2022 per gli Stati Uniti ed i loro alleati asiatici: nel corso di una riunione – tenutasi lo scorso 19 gennaio – l’Ufficio politico del Partito dei Lavoratori di Corea ha ventilato la possibilità di “riprendere tutte le attività temporaneamente sospese” in campo militare. Dichiarazione sibillina che per alcuni osservatori potrebbe tradursi nella ripresa degli esperimenti nucleari e di missili intercontinentali. Ipotesi rafforzata e rilanciata dal rapporto presentato lo scorso 4 febbraio dagli osservatori dell’Onu al comitato per le sanzioni contro la Corea del Nord delle Nazioni Unite.
In particolare secondo il rapporto: “la manutenzione e lo sviluppo dell’infrastruttura nucleare e dei missili balistici della RPDC sono continuati e Pyongyang ha continuato a cercare materiale, tecnologia e conoscenza tecnica per questi programmi all’estero, anche attraverso mezzi informatici e ricerca scientifica congiunta”.
La risposta statunitense a questo attivismo non si è fatta attendere, con il presidente Biden che ha disposto nuove sanzioni per individui ed aziende responsabili, secondo Washington, di aver agevolato il programma missilistico nordcoreano. Difficile che questo nuovo giro di vite possa portare a risultati concreti: del resto l’obiettivo di Pyongyang è sempre stato quello di arrivare ad un tavolo di trattativa con gli Usa proprio grazie al rafforzamento del proprio arsenale missilistico e nucleare.
Da decenni il possesso dell’atomica e di vettori strategici adeguati viene ritenuta da Pyongyang come l’unica, reale “assicurazione sulla vita” per il regime. È lo stesso Kim Jong Un a indicare, già nel 2013, il completamento del programma nucleare come prioritario. Tre anni dopo viene testata con successo una bomba in grado di essere trasportata su uno dei missili dell’arsenale nordcoreano. Pyongyang entra così ufficialmente a far parte del ristretto club nucleare.
Un cammino lungo, avviato già nei primi anni ’60 del secolo scorso, quando dopo aver ricevuto i primi rifornimenti dall’Unione Sovietica la Corea del Nord lanciò il suo primo programma missilistico. Strada perseguita con costanza ed impegno, fino ai risultati di oggi.