Grazie a colossi come Kia, Daewoo, Hyundai, Samsung la Corea del Sud è il quinto produttore ed esportatore mondiale d’automobili. Un primato importante raggiunto in un meno quarantennio con grandi investimenti, accurata ricerca, importanti alleanze, acquisizioni e strategiche sinergie internazionali (Samsung con Renault Nissan, Daewoo in General Motors…). Desta perciò quantomeno curiosità la decisione della quarta economia asiatica (e dodicesima mondiale) di costruire un nuovo modello urbano assolutamente senza auto. Si tratta del Songdo International Business District, una città utopica intelligente e super ecologica che sta sorgendo a cinquanta chilometri dalla capitale Seul, per l’esattezza presso Incheon. Un nome per i coreani ancora fortemente evocativo: qui nel settembre del 1950 a sorpresa sbarcò il generale Mac Arthur sbaragliando l’armata comunista e invertendo il corso della guerra di Corea.
Negli anni l’antico campo di battaglia è diventato, grazie alle numerose industrie impiantate sul territorio, una delle aree più dinamiche della penisola. Un successo economico pieno ma appesantito sempre più da inquinamento, traffico, sporcizia, smog, congestione. Nel 2000 il governo, guidato allora da Lee Myung-bak, sulla spinta dell’opinione pubblica preoccupata dalle emergenze ambientali — sommata ad un intreccio tra volontà di potenza nazionale e solidi calcoli immobiliari — decise di rettificare le sue politiche e aprire una nuova fase: “la crescita verde”, una linea tutta imperniata sull’ipertecnologia “green”; una svolta molto ambiziosa di cui Songdo, prima integrale “città eco” dell’intero globo terracqueo, è diventata simbolo e modello.

Il progetto pensato e delineato dallo studio americano Kohn Pedersen Fox e poi sviluppato negli anni dai coreani, è infatti decisamente innovativo quanto complesso. Qualche esempio. Su un’estensione di 9,3 chilometri quadrati, il quaranta per cento delle aree urbane è destinato ai parchi (il doppio di New York); accuratissima è la gestione idrica e quella dei rifiuti: il 43 per cento dell’acqua utilizzata per scopi residenziali viene riciclata attraverso gli impianti di trattamento mentre i rifiuti raccolti nelle abitazioni vengono convogliati in un unico grande tubo (vietati gli obsoleti camion della spazzatura, eliminati gli sgradevoli cassonetti…) che li trasborda in un enorme termovalorizzatore che trasforma tutta l’immondizia in energia elettrica. E ancora, oltre cento strutture hanno ottenuto la certificazione LEED di efficienza energetica, ovunque colonnine di ricarica per i veicoli, semafori intelligenti, illuminazione stradale alimentati da fonti rinnovabili.
Ma la vera filosofia, l’autentico fiore all’occhiello del Songdo District, è il concetto di trasporto alternativo, ovvero il bando totale alle automobili (permesse solo quelle elettriche) a favore delle linee metropolitane, dei tram, delle biclette e persino dei taxi boat che scivolano sui canali interni. Ogni zona residenziale è concepita in modo che gli abitanti trovino risposta immediata ad ogni loro bisogno (uffici, ospedali, farmacie, asili, scuole, biblioteche, polizia) ed ogni edificio — rigorosamente cablato in fibra ottica — è volutamente posizionato ad una distanza massima di 12 minuti a piedi da una fermata del metrò mentre una pista ciclabile lunga 25 chilometri (collegata a un raccordo esterno di 145 chilometri) collega il centro alle “periferie”. Per raggiungere Seul (e tutta la Corea del Sud) o il mega aeroporto internazionale di Incheon c’è la National Railroad con i suoi scintillanti treni ad alta velocità.

Ovviamente l’intera (costosissima) operazione non mira solo a decongestionare l’affollata capitale (quasi dieci milioni d’abitanti) ma vuole essere una vetrina dell’orgoglio coreano e una calamita per gli investimenti stranieri. La “Incheon Free Econonic Zone” e Songdo City — primo esempio di un’”aerotropoli”, vista la vicinanza allo scalo di Incheon — dovrebbero diventare il nuovo baricentro degli affari e della finanza dell’Estremo Oriente, una piattaforma hi-tech tra Cina, Giappone , Russia e Stati Uniti.
Tutto bene, dunque? No. Qualcosa sembra non abbia funzionato. Non funziona. I lavori, affidati ad un consorzio pubblico-privato formato dalla Gale International (gigante newyorkese del real estate e delle costruzioni), dall’azienda nazionale Posco E&C e dalla Incheon Metropolitan City (l’amministrazione regionale), iniziarono nel 2001 con la bonifica di una zona paludosa lungo il Mar Giallo (600 ettari) ma negli anni hanno subito, a causa le ricorrenti crisi economiche e politiche, una serie di imbarazzanti ritardi. Il completamento dell’opera è via via scivolato dal 2015 al 2018 e, ancora, al 2022. Poi si vedrà.
Oggi a Songdo vivono 100mila persone — nulla confronto a Seul — e il costo complessivo del progetto ha sforato i 35 miliardi di dollari, una cifra folle. Eppure le autorità coreane continuano a sperare e investire nella convinzione di alzare entro il 2022 la popolazione a quota 300mila e convincere finalmente gli stranieri a investire. Sebbene vi siano tantissimi spazi liberi a buon mercato i possibili acquirenti restano però scettici verso la luccicante smart city asiatica. Perchè?
Azzardiamo qualche ipotesi. La perfezione talvolta rischia la freddezza e Songdo è algida. Di sicuro è sicurissima poichè sorvegliata 24 ore su 24 da una rete di telecamere e una foresta di sensori. Molti, forse troppi per gli “gnomi della finanza” ma anche per i comuni cittadini…. Alcuni la paragonano a un set del “Truman Show”, altri ad un incubo orwelliano. La tecnologia, il verde, le innumerevoli comodità non bastano a fare di un folla di condomini una comunità. Robot, calcoli immobiliari e internet non scrivono una narrazione, non costruiscono una polis. Una città vera e pulsante non si programma a tavolino. Una città si vive. Si ama.