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Corsi e ricorsi storici/ Weimar 1933 e Italia 2019, sorprendenti analogie

di Massimo Weilbacher
13 Marzo 2019
in Home, Pòlis
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Corsi e ricorsi storici/ Weimar 1933 e Italia 2019,  sorprendenti analogie
       

Tra molti effetti collaterali dell’ascesa dei movimenti cosiddetti “sovranisti” o “populisti” c’è la delegittimazione del sistema democratico rappresentativo e dei meccanismi che lo governano. Elite economiche, oligarchie politico-burocratiche ed apparati vari al loro servizio non accettano che dalle urne escano risultati sgraditi e non si stancano di evidenziare la necessità di filtrare e depurare la volontà popolare in modo da incanalarla nella giusta direzione, quella dei presunti “competenti” versione nostrana e alla buona del governo dei colti di John Stuat Mill. Come diceva Berthold Brecht “Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo”.

Uno degli argomenti più utilizzati per mettere in guardia dai pericoli del voto popolare è la credenza che Adolf Hitler sia andato al potere vincendo le elezioni, un fatto che in realtà non è mai successo. Alle elezioni federali del 6 novembre 1932 la NSDAP di Adolf Hitler raggiunge il 33,1% dei voti, (- 4.2%) ottenendo 196 seggi (-34) su 584. Troppo poco per vincere le elezioni con una legge elettorale proporzionale senza correzioni come quella della Repubblica di Weimar. Oltretutto la sinistra, se fosse unita, sarebbe più forte: 37,3% (20,4% la SPD+16,9% il KPD) con 221 seggi, ma socialdemocratici e comunisti sono divisi ed antagonisti.

Alle precedenti elezioni del 31 luglio Hitler aveva raggiunto un risultato migliore (37,8% e 230 seggi) ma non disponendo di una maggioranza politica il presidente von Hindenburg, che lo disprezzava, lo aveva ignorato.

L’impossibilità di mettere insieme una qualunque maggioranza parlamentare aveva partorito un governo di minoranza presieduto da Franz von Papen, aristocratico cattolico leader del Partito del Centro (PZD), che non aveva potuto fare altro che indire nuove elezioni. Preso atto del nuovo risultato elettorale e del persistente stallo politico, il 2 dicembre 1932 von Hindenburg scarica von Papen e nomina cancelliere il generale Kurt von Schleicher, ex ministro della difesa ed esponente della casta militare, con il compito di riportare l’ordine nel paese. Nemmeno questa volta prende in considerazione Adolf Hitler, nonostante la NSDAP sia sempre il primo partito.

Von Schleicher tenta di costruirsi una maggioranza trasversale puntando sulle divisioni interne degli altri partiti. Vuole attirare la sinistra con la promessa di provvedimenti a favore dei ceti popolari e tenta di spaccare il partito nazionalsocialista facendo leva sulla rivalità tra Adolf Hitler e Gregor Strasser, leader dell’ala sinistra, al quale offre la carica di vicecancelliere e di primo ministro della Prussia. La manovra fallisce: la sinistra non abbocca e la NSDAP rimane compatta con Hitler. Il tentativo costerà molto caro a Strasser e von Schleicher: la vendetta di Hitler li raggiungerà il 30 giugno 1934 durante la cosiddetta Notte dei Lunghi Coltelli, quando entrambi verranno freddati dalle SS.

Intanto il 4 gennaio 1933 Franz von Papen, in cerca di rivalsa, incontra segretamente Hitler in casa del banchiere Kurt von Schroeder e si accorda sulla formazione di un governo di coalizione che avrebbe riunito i Nazionalsocialisti, i centristi della PZD e il Partito Nazionale Popolare (DNVP), l’altro partito della destra nazionalista, con una maggioranza parlamentare di 318 voti su 584. Hitler sarebbe stato cancelliere, von Papen il suo vice, Alfred Hugenberg, leader della DNVP, ministro dell’Economia e dell’Agricoltura. Il 23 gennaio von Schleicher, non essendo riuscito a formare una maggioranza, chiede a von Hindenburg i poteri speciali previsti dall’art. 48 della costituzione di Weimar, ma il presidente glieli nega. Il 28 non può fare altro che dimettersi.

L’ultraottantenne Von Hindenburg e la sua cerchia di consiglieri continuano a diffidare dei nazisti e dei loro metodi e sono restii ad affidare loro il governo. Von Papen però riesce a convincerli che cooptare Hitler al potere è il modo migliore per controllarlo, per neutralizzarne la carica eversiva e per logorarlo politicamente, visto che il suo consenso popolare è in calo. Il 30 gennaio 1933 Hitler viene nominato Reichskanzler sia pure alla guida di un governo di coalizione. Per i nazionalsocialisti questa sarà la data del Machtergreifung, la presa del potere; da questo momento la strada di Hitler verso il potere assoluto è in discesa e l’avvento della dittatura solo una questione di tempo.

Non è quindi il voto popolare a consegnare ad Adolf Hitler il potere in Germania, ma un “banale” accordo parlamentare tipico, ed inevitabile, nei sistemi parlamentari con leggi elettorali proporzionali, il cui effetto è quasi sempre quello di frantumare la rappresentanza politica rendendo virtualmente impossibile la vittoria elettorale di un solo partito ed indispensabili le coalizioni parlamentari.

Neppure il 5 marzo 1933 alle ultime elezioni (più o meno) libere, dopo l’incendio del Reichstag e con i nazisti oramai padroni della situazione, la NSDAP raggiunge la maggioranza assoluta, fermandosi al 43,9% . Per conservare la carica di cancelliere Hitler dovrà rinnovare l’alleanza parlamentare con i nazionalisti e i centristi che gli permetteranno di raggiungere la maggioranza dei 2/3 dei voti del Reichstag necessaria per approvare l’Ermächtigungsgesetz, la legge dei pieni poteri, con la quale il 24 marzo 1933 metterà fine, con mezzi formalmente legittimi, alla democrazia in Germania.

La lezione che ci arriva dalla Repubblica di Weimar, in realtà, è un’altra meno nota ma molto più molto più sgradevole per il sinedrio liberista-europeista che monopolizza pensiero politico-economico ed informazione perché riguarda la politica economica.

Bisogna partire da un dato: tra il 1928 e il 1932 il partito nazionalsocialista passa da 810.127 voti (2,8%) a 11.737.395 (33,1%); i partiti antisistema della Repubblica di Weimar, comunisti e nazionalsocialisti, crescono complessivamente dal 13,2% del 1928 al 50% del 1932.In mezzo c’è, naturalmente, la grande depressione del 1929, ma quello che fa precipitare la situazione non è tanto la crisi in sé quanto il modo in cui la Germania la affronta. Il 29 marzo 1930, in piena crisi economica, viene nominato cancelliere Heinrich Brüning, deputato del Partito del Centro con la fama di grande esperto di questioni finanziarie e fiscali. Brüning applica subito una pesantissima ricetta di rigore ed austerità con l’obiettivo di ridurre il debito pubblico, denominato in dollari ed molto pesante per via delle riparazioni dei danni di guerra, e annullare il deficit della bilancia commerciale. Per fare ciò vara una politica economica fortemente deflattiva che prevede l’aumento del tasso di sconto, forti riduzioni della spesa pubblica, aumento dei dazi doganali, riduzione dei salari e della spesa sociale, aumento della pressione fiscale sulle famiglie.

Nonostante il risultato negativo delle elezioni del 1930, che vedono il primo grande balzo in avanti della NSDAP di Hitler, Brüning riesce a mettere insieme una fragile alleanza parlamentare che gli garantisce la sopravvivenza grazie soprattutto all’astensione dei socialdemocratici che, spaventati dalla crescita dei partiti antisistema, finiscono per condividere scelte deleterie proprio per i loro elettori.Per ovviare alla debolezza della coalizione di governo von Hindenburg concede al cancelliere il Notverordnung, i poteri straordinari che permettono al governo di legiferare direttamente per decreto senza bisogno dell’approvazione del parlamento.

In questo modo tra il 1930 e il 1931 vengono imposte la riduzione dei salari degli operai e dei funzionari, prelievi fiscali straordinari su chi percepisce un reddito fisso, la diminuzione dell’indennità di disoccupazione, dalla quale vengono escluse le donne, l’aumento da 16 a 21 anni dell’età necessaria per accedere ai sussidi, la riduzione degli assegni famigliari, l’aumento delle imposte sui redditi e delle imposte indirette sui generi alimentari. Incurante delle conseguenze sociali, il governo taglia ferocemente spesa sociale e stipendi ma favorisce le grandi imprese, soprattutto quelle che esportano, che beneficiano, oltre che del minore costo del lavoro, di sovvenzioni e di riduzioni d’imposta. In soli due anni Brüning taglia la spesa pubblica del 30% ma senza ottenere i risultati sperati. Solo le partite correnti passano, ma per poco, da un forte deficit a un piccolo attivo; il PIL reale diminuisce invece dell’8% nel 1931 e del 13% l’anno successivo, la disoccupazione esplode, i capitali stranieri fuggono. Nell’estate del 1931 inizia il collasso del sistema bancario: le difficoltà delle banche richiedono sia una stretta creditizia che cospicui aiuti pubblici che però si riveleranno inutili: il dissesto delle banche si porterà dietro il default del debito pubblico, dovuto anche alla ottusa rigidità dei creditori esteri.

Povertà e disoccupazione crescono in modo impressionante: tra il 1929 ed il 1932 il numero dei disoccupati si impenna da 1,8 milioni a 6,1 milioni (oltre a 3 milioni di lavoratori sottoccupati) su una popolazione attiva di 18 milioni, il che significa un tasso di disoccupazione del 34% che oltretutto con comprende i lavoratori dell’agricoltura. Un terzo dei disoccupati non ha diritto a nessuna forma di assistenza, gli altri subiscono i tagli drastici imposti dalla politica di austerità. La rabbia sociale generata dalla politica economica del governo viene canalizzata dai partiti antisistema – nazionalsocialisti e, in misura minore, comunisti – il cui consenso cresce con la stessa progressione del tasso di disoccupazione.

Brüning tira diritto e reagisce con la repressione sciogliendo sia la Rotfrontkämpferbund, la milizia paramilitare comunista, che le SA naziste e vietando ogni loro attività. Ma per il cancelliere e la sua disastrosa austerità il tempo è oramai scaduto. Sfiduciato da von Hindenburg, che si rifiuta di firmare gli ennesimi decreti di emergenza, si dimette il 30 maggio 1932. Otto mesi dopo, come abbiamo visto, Hitler diventerà cancelliere e sette anni dopo scoppierà la 2 guerra mondiale.

Ricapitoliamo: una gravissima crisi economica, un tecnico al governo che impone una politica economica recessiva fatta di tagli della spesa pubblica, riduzione della spesa sociale ed incremento delle imposte. Il ricatto del debito pubblico e gli interessi della finanza internazionale. Un parlamento miope e succube ed un presidente interventista che lo scavalca. Un sistema di cambi fissi che impone politiche di forte deflazione di costi e salari. La distruzione della domanda interna che costringe le imprese ad esportare per sopravvivere, l’economia reale che va a picco trascinandosi dietro il sistema bancario. La disoccupazione che esplode creando enormi problemi sociali, i partiti antisistema che prendono il sopravvento…

Tutto questo non ci ricorda qualcosa? Fatte le debite proporzioni non abbiamo già visto qualcosa genere? Chissà se gli europeisti dogmatici, i liberisti “competenti”, gli adoratori dell’Euro, le cheerleaders di Bruxelles conoscono la storia del cancelliere Brüning e del suo governo tecnico…

Tags: Adolf HitlerGermaniaRepubblica di Weimarstoria
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