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Home L'Editoriale

Cossiga aveva ragione. Draghi è solo un “vile affarista”

di Maurizio Bianconi
24 Maggio 2022
in L'Editoriale
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Cossiga aveva ragione. Draghi è solo un “vile affarista”
       

Il 2 giugno 1992 il panfilo della regina Elisabetta II, R. y. Britannia, era all’ancora nel porto di Civitavecchia per una minicrociera con raffinato buffet e intrattenimenti d’arte varia. Il tutto per un meeting tra i  rappresentanti della finanza globalista, dell’industria di Stato, del capitalismo familiare nazionale e dei mossieri politici dell’iniziativa.

Grand commis, Mario Draghi, 45enne direttore generale del Ministero del Tesoro, già nelle grazie del gotha nazionale, finanza americana, ambienti vaticani. Costui tenne, da organizzatore, la relazione introduttiva e lasciò gli attori a formalizzare l’intesa raggiunta.

Si trattava di pianificare la privatizzazione dell’industria di Stato. Operazione preannunciata come salvifica delle finanze statali, volano del rilancio e di crescita. Scelta che avrebbe ridotto il debito pubblico e le spese private, conveniente per tutti, necessaria per la futura moneta unica. Soprattutto da farsi perché “ce lo chiede l’Europa’”

Il fiasco sugli obbiettivi ufficiali fu colossale. Ma non quello reale. La “resilienza” del tempo si trasformò in una svendita dai contorni criminali del patrimonio-Italia, a vantaggio di coloro che ancora oggi giocano coi destini del mondo.

Non per caso il presidente Francesco Cossiga, bollò pubblicamente Mario Draghi di “vile affarista”’ “socio di Goldman Sachs”, indegno di ricoprire in Italia qualsiasi carica, tantomeno quella di presidente del Consiglio. Lo screditamento del personaggio non sfiorò mai il Palazzo, occupato via via da personaggi collusi, compromessi, sodali o più semplicemente inadeguati. Nè tantomeno l’opinione pubblica, lontana dal vero cuore dell’affarismo politico e finanziario.

Si tentò di negare il fine di quella riunione. Ma tagliò la testa al toro, l’ambasciatore e editorialista Sergio Romano da tutti riconosciuto come fuori dalle parti. Costui scrisse sul Corriere della sera che lui non sapeva se fosse vero che Draghi e c. avessero “svenduto” l’Italia a Goldman Sachs e sodali della finanza angloamericana (chiamati “the invisibles”), ma una cosa era certa: “non c’è privatizzazione italiana degli anni seguenti in cui la finanza anglo-americana non abbia svolto un ruolo importante”.

Oggi “il vile affarista” di Cossiga, da presidente del Consiglio, ripete la stessa novella. La rappresentazione avviene non più in esclusivi navigli, ma in pubblico e con terminologie in parte diverse. Ma il fine, la narrazione e perfino gli attori sono gli stessi.

Il “ce lo chiede l’Europa” varia in “l’Europa ci lascerà senza soldi’. L’apertura al globalismo al “libero mercato” alla “concorrenza”, all’”equità” è lo stesso. Il risultato sarà peggiore.

Intervenendo sul Catasto si sposterà sugli immobili un ulteriore carico fiscale (come chiede l’Europa). Si colpirà al cuore un baluardo etico e economico della comunità nazionale. Con le aste sui litorali si uccideranno micro sistemi zonali, fonte di benessere e promozione per territori miseri per secoli e l’anima di tante comunità litoranee. Si consegneranno le nostre particolarità turistiche alle multinazionali, si ingrasseranno i soliti speculatori.

A costoro si aggiungerà una multinazionale italiana, ricca di’ free cash flow’, capace di vertiginose e apprezzate speculazioni: la criminalità organizzata. Sarà realizzato il target del paese di Pinocchio: delinquenti sugli scudi, persone dabbene sul lastrico. Il “vile affarista” di Cossiga si è trasformato nell’Omino di burro di Collodi.

Noi non muteremo destino: da uomini abituati a farci onore a ciuchini schiavi di un manipolo di straricchi e despoti, questa volta in crociera sì, ma sui loro panfili.

Tags: Francesco CossigaglobalizzazioneMario Draghi
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