La stucchevole ed assurda sfida dell’ignoranza antifascista alla legge ed alla giurisprudenza si arricchisce ogni giorno di nuovi episodi. Consolidata oramai da tempo la giurisprudenza della Cassazione che ha fatto giustizia (è proprio il caso di dirlo) della pretesa di condannare per apologia del fascismo chi fa il saluto romano, è ora la volta del Consiglio di Stato, cioè la più alta corte della giustizia amministrativa, che ha emesso qualche giorno fa un provvedimento che potrebbe avere effetti importanti.
La vicenda alla base del provvedimento è sintomatica di un problema molto più ampio ed esteso. Nel 2016 l’Università del Salento aveva deciso di rifiutare al Blocco Studentesco, organizzazione giovanile che fa capo a Casapound e che dal 2011 operava tranquillamente all’interno dell’ateneo, lo status di organizzazione studentesca riconosciuta, impedendo quindi qualsiasi agibilità politica.
La decisione, presa arbitrariamente dalle organizzazioni studentesche della sinistra presenti nel Consiglio degli studenti, era poi planata sul tavolo del rettore il quale, con una procedura quanto meno irrituale, l’aveva fatta rimbalzare al Senato Accademico che aveva definitivamente confermato la decisione di escludere l’organizzazione di destra.
Approdata in tribunale, la questione è stata risolta da un’ordinanza del Consiglio di Stato che stabilisce inequivocabilmente che l’associazione Blocco Studentesco “non presenta contenuti di per sé incompatibili con i valori costituzionali e quindi non vale a qualificare di per sé l’associazione stessa come contraria agli scopi istituzionali dell’università”.
Decisione che stabilisce chiaramente l’illegittimità delle scelte sbagliate delle autorità accademiche, sconfessate sia sul piano procedurale che del merito
Casi come questi, cioè di organi amministrativi di vario genere e livello che si comportano come dilettanteschi tribunali di paese o, addirittura, come tante piccole corti costituzionali della domenica arrogandosi abusivamente il diritto di giudicare la legittimità del pensiero altrui tentando di proibirne o limitarne l’esercizio dei diritti di opinione e associazione, spuntano oramai ogni giorno come i funghi.
Ricordiamo, ad esempio, il caso particolarmente odioso del garrulo ultrà renziano Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, che a dicembre aveva negato al maratoneta disabile romano Claudio Palmulli una sala circoscrizionale per la presentazione del suo libro “Il vento sulle braccia”, il cui ricavato avrebbe contribuito all’acquisto una carrozzina speciale con la quale partecipare alle competizioni agonistiche per disabili. Per Ricci il problema era l’adesione di Palmulli a Casapound, il che lo ha trasformato immediatamente da disabile bisognoso di solidarietà in nemico del popolo pesarese. Le successive dichiarazioni di Ricci sono un incredibile concentrato di ignoranza ed arroganza:
“il neofascismo è reato in Italia e non si può da una parte condannarlo e dall’altra riconoscerlo … i sindaci devono essere in prima linea nel difendere i valori fondanti della Costituzione repubblicana. Fino a che io sarò il Comune di Pesaro non concederò sale pubbliche a formazioni neofasciste o neonaziste perché contrarie al dettato costituzionale”.
In pratica, abbiamo un sindaco di provincia che non conosce né la legge (la cd legge Scelba ma anche quella stessa Costituzione con la quale si riempie la bocca), né la cinquantina (almeno) di sentenze che contraddicono, da pulpiti ben più autorevoli, le sue bizzarre convinzioni e nemmeno le sue funzioni, che sono di amministrare una cittadina, non sostituirsi alla corte costituzionale decidendo chi nel suo piccolo comune può o non può godere dei diritti civili (quelli veri) ed avere accesso all’utilizzo dei beni pubblici.
Il caso, naturalmente, non è isolato; solo ieri il pessimo esempio di Ricci è stato seguito da una sua collega anche lei del PD ed anche lei marchigiana, come d’altra parte la Boldrini (regione tanto bella quanto sfortunata…). La signora Valeria Mancinelli, sindaco PD di Ancona, ha pensato bene di negare l’uso di una sala comunale richiesto da Casapound per la presentazione del suo candidato locale alla camera con l’intervento di Simone Di Stefano.
Se il caso di Ricci era detestabile per la natura della manifestazione negata, questo è particolarmente grave per il contesto: un’autorità amministrativa locale che in piena campagna elettorale impedisce la manifestazione di un candidato che partecipa regolarmente alle elezioni politiche.
Le motivazioni, come di consueto, sono aberranti ed anche in questo caso la sindaca di Ancona recita abusivamente parti in commedia che non le competono: quella di un tribunale e addirittura quella della Corte Costituzionale: “Le posizioni che esprime Casapound non fanno parte di una normale dialettica di confronto delle idee … quell’autorizzazione non è stata data perché è CasaPound e noi pensiamo di dover dare un segnale forte alla città e all’opinione pubblica”.
A parte il consueto sfoggio di ignoranza istituzionale e giuridica, si tratta in tutta evidenza di comportamenti illegittimi che meriterebbero di finire davanti ai competenti tribunali: quelli amministrativi, come nel caso dell’Università del Salento, e anche quelli penali, visto che affermazioni e comportamenti come quelli della sindaca anconetana meriterebbero di confrontarsi, ad esempio, col reato di diffamazione (la Mancinelli aveva anche accostato Casapound ai campi di sterminio) e con quello di abuso di ufficio. Questi bravi sindaci dovrebbero studiare attentamente la materia, invece di parlare così a vanvera, ma chiederglielo sarebbe tempo perso.
Possiamo invece auguraci che anche in questo caso le farneticazioni degli apprendisti stregoni antifascisti della provincia italiana arrivino allo stesso risultato raggiunto da ANPI e compagni per il saluto romano: la creazione di una abbondante e pacifica giurisprudenza che renda evidente una volta per tutte l’assurdità delle loro decisioni.