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Cronache dalla pandemia/ La paura di Stato e la fine delle libertà

di Massimo Corsaro
1 Febbraio 2021
in Home, Società&Tendenze
1
Cronache dalla pandemia/ La paura di Stato e la fine delle libertà
       

Ammettiamolo, travolti dalla tenzone che si disputa senza esclusione di colpi tra folcloristici negazionisti e novelli Torquemada (pronti a denunciarvi se vi scoprono intenti a portare la spesa al genitore nonagenario che vive da solo); obnubilati dalla sovraesposizione di santoni mediatici che preconizzano la fine del mondo ove ci pungesse vaghezza di consumare un Crodino alle 18.01; sovrastati da banchi a rotelle in scuole chiuse e salvifiche “app immuni” che hanno fatto solo la fortuna di qualche “cuggggino” consulente informatico, abbiamo perso di vista la reale portata della posta in palio. Tanto, probabilmente, da aver già perso la partita fondamentale senza neppure averla giocata.

Ciò di cui non si discute, infatti, è l’effetto globale e tristemente definitivo di ciò che ci sta accadendo sulla scorta della presunta pandemia. Da un anno, e presumibilmente ancora per i prossimi molti mesi, i popoli hanno accettato supinamente che venisse soppresso il principale valore sulla cui affermazione, espansione e difesa si è consolidato il modello delle società occidentali: la libertà individuale.
I governi (tutti, salvo forse quello svedese che – peraltro – non per questo ha determinato esiti peggiori degli altri nel proprio paese) hanno scelto senza riflettere di percorrere la strada contraria alla logica: di fronte ad un rischio potenziale, anziché provvedere alla migliore tutela delle fasce di popolazione più deboli ed esposte o – più semplicemente – di quanti denunciassero, a torto o ragione, forte timore per gli accadimenti, hanno deciso di bloccare tutti. Un po’ come se, a causa di chi ha paura dei fulmini, si decretasse il divieto a chiunque di circolare in caso di temporali; come se si fermassero i treni in ossequio a chi ha il terrore degli incidenti ferroviari.
I governi, si diceva, hanno assunto la soluzione per loro più comoda, immediata e deresponsabilizzante. Bloccare tutto e tutti circoscrive l’intervento ad un anonimo decreto (nel nostro caso, peraltro, reiterato ed ogni volta accompagnato da stucchevoli autocelebrazioni in diretta televisiva notturna, ma questo ci condurrebbe ad altro discorso).
Lasciare viceversa libero di agire chi sceglie di continuare a vivere (come si è sempre fatto, nella storia, pure nel mezzo di guerre, epidemie e carestie) avrebbe costretto i governanti ad organizzare forme di assistenza e servizio domiciliare a chi avesse deciso di rinchiudersi in quarantena; adattare le modalità di approvvigionamento di beni e servizi per gli stessi; intensificare le reti infrastrutturali per consentire, ai soggetti che si fossero autolimitati, l’interazione sociale e professionale; regolarizzare ed adattare il flusso dei trasporti; individuare e settorializzare gli ambiti socio-sanitari da destinare in sicurezza alla cura dei contagiati.
Ma tutto ciò, appunto, avrebbe richiesto autorevolezza politica, capacità tecnica e trasparenza amministrativa. Molto più semplice rinchiudere tutti, sospenderne la vita, le relazioni sociali, le attività economiche, la produzione reddituale, la prospettiva di sviluppo, la speranza di cavarsela.
Tutti a casa e tutti fermi, quindi, spesso superando la soglia del ridicolo (come quando ci hanno detto che si poteva camminare per strada mantenendo un metro di distanza dalla stessa persona con cui di notte si condivide il letto); sempre disconoscendo la soglia di decenza fiscale (non puoi andare nella tua seconda casa fuori regione, tenuta a propria disposizione e quindi non foriera di redditi alternativi, ma ti impongo lo stesso di pagarne l’IMU, perché altrimenti la mazzetta di 62 ml per l’amico cui ho chiesto di far da tramite per l’acquisto di mascherine non saprei come pagarla). Comunque, imponendo umiliazioni inaccettabili: io, ad esempio non riconosco ad alcuno l’autorevolezza per raccomandarmi la necessità di lavarmi le mani; al contrario, se si immagina che alcuno ne abbia bisogno, lo si individui e si cominci con il sottrargli a vita il diritto di voto, che non si capisce perché uno che di abitudine non si lava debba poter decidere anche per conto mio.
Dimenticando, e questo è il punto, che si sceglie di indebitamente ingenerare danni irrecuperabili.
Anzitutto, per il periodo che ci è sottratto alla vita. Il tempo, si sa, è l’unico elemento mai nella disponibilità dell’uomo. Se mi chiudi in casa per un anno e mezzo, mi imponi 18 mesi di reclusione senza che io abbia alcuna colpa da scontare; e quel tempo non mi potrà mai più essere restituito da alcun decreto.
In secondo luogo, per gli aspetti socio-economici che incidono nella struttura della nostra vita:
– Se il mio lavoro non è assistito da un contratto pubblico, non c’è alcun modo di garantire che io lo ritrovi al termine della segregazione, durante la quale pure potrei avere difficoltà a mantenermi se non avessi risparmi pregressi cui attingere. Nel frattempo servizi, commerci, attività artigianali e professionali, industrie pur prevalenti come moda turismo e design celebrano quotidiane chiusure.
– Se un anziano muore durante questa fase (anche di altro perché, questa è la notizia, il Covid è responsabile di una percentuale comunque infinitesimale dei decessi nell’umanità), gli si impone una fine solitaria che non è si riserva neppure al peggiore ergastolano, cui spesso è concesso di trascorrere gli ultimi giorni in famiglia.
– Quando ad un bambino togli per 18 mesi il gioco, lo scambio, il confronto, la lite, l’emulazione con gli altri, ne determini effetti sociali e psicologici di devastante impatto definitivo.
Ma più di tutto, il danno irreversibile è proprio il superamento della barriera culturale di cui parlavo all’inizio.
Se in oriente (e in Russia) le popolazioni sono storicamente abituate al giogo del satrapo di turno che ne determina limiti e condizioni; se nel terzo mondo il pressapochismo con cui si interviene sulle emergenze si accompagna ad un atavico fatalismo rispetto le asperità della vita quotidiana; da noi, in Occidente, la realizzazione e la tutela della libertà personale rappresentano il culto su cui si è sviluppato il nostro modus vivendi.
Aver imposto il superamento delle regole del gioco (coì come pure la colpa di aver accettato che ciò accadesse) segna un passaggio epocale tra un prima ed un dopo. Da oggi, chi governa sa di poter disporre delle vite dei propri cittadini come forse neppure nel medio evo. Perché nessuno in buona fede, supportato da un numero appena percettibile di neuroni, può credere che in un giorno ipotetico dei prossimi mesi ci sia proposta una dichiarazione congiunta dei governi del mondo che dica a tutti “l’emergenza è cessata, ci scusiamo per le forzature che via abbiamo imposto, non succederà mai più”.
No, la strada è tracciata, ed è quella destinata a stravolgere in senso negativo il nostro habitat; a condizionarci per sempre; a renderci incerti e – quel che è peggio – mentalmente succubi e disponibili a subire.
Ed il pensiero è ancora più insopportabile, ove si rilevi che in nessun caso gli atteggiamenti impositivi e limitativi di questi mesi hanno prodotto – alla prova dei fatti – risultati socialmente più efficaci rispetto a chi ha deciso di lasciare che fosse il libero arbitrio a determinare le scelte comportamentali dei cittadini. L’Italia, in questo, è solo l’esempio più fallimentare ed eclatante: un governo vanesio che se l’è cantata e suonata da solo, fingendosi addirittura modello da imitare a livello internazionale; ma all’esito di una delirante serie di imposizioni, continuiamo ad essere il paese con maggiore diffusione del virus e con il più elevato indice di mortalità (sulla cui serietà di determinazione, peraltro, varrebbe la pena di aprire apposito capitolo).
Nel frattempo è stata distrutta l’integrazione sociale, disintegrato il rapporto fiduciario tra chi governa e chi è rappresentato, compromessa irrimediabilmente l’indipendenza economica di persone famiglie ed imprese, primo fondamentale ed insostituibile requisito per la realizzazione di qualsivoglia altra forma di libertà.
No, davvero, pure che questa scelta avesse contribuito a salvare nel mondo mille, diecimila, centomila vite, – circostanza per quanto detto lungi dall’essere scientificamente dimostrata – non ne sarebbe valsa la pena. Perché l’effetto di queste limitazioni resterà indelebile e pervasivo, e condizionerà negativamente il futuro delle generazioni a venire.
Tags: coronavirus
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Commenti 1

  1. Tommaso Bisi Griffini (lodi) tel. 348 32 27 606 says:
    2 anni fa

    non vedo l’ora di insorgere contro il terrorismo sanitario.
    bisogna riunire gli uomini liberi e cominciare la lotta.

    Rispondi

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