L’appartenenza sorda e cieca, in tutte le sue forme, è una malattia mortale. Uccide il corpo, inaridisce il pensiero critico, annebbia l’animo. Si ferisce, si mutila la dignità altrui, rinunciando volutamente alla comprensione degli eventi, assumendo pose e atteggiamenti del tutto conformistici. Si denigrano e si esaltano le persone, ignorando la profondità o la pochezza delle idee espresse, nonché il peso delle azioni compiute. Viviamo in tempi rassegnati alla superficialità, consegnati all’indifferenza, privati di prospettiva e desiderio.
Si parla di tutto, non conoscendo nulla. Liberi di servire il niente che avanza, nell’etica, nella cultura, nelle variegate forme della vita umana. La noia contende al relativismo l’abito a festa della decadenza: fotografia spersonalizzante di una società di massa protesa al solo consumo di merci. Quanta tristezza tinge i nostri orizzonti. Non basterebbero tutte le lacrime del cielo per esprimere la miseria del cammino: violenze, meschinità e follie collettive quali sintomi di una generazione perversa, malata, annegata nell’odio di se stessa. Individui senza volontà, alla ricerca del mero soddisfacimento di pulsioni bestiali, mostri dalle sembianze umane, dimentichi della comune origine e discendenza.
Opportunismi e faziosità, mancanza di ideali e valori, rifiuto della propria identità storica, disgusto per il prossimo: maledizioni e destini a cui l’uomo moderno consacra il culto idolatrico di un’esistenza effimera, eterodiretta e deresponsabilizzata. L’atrocità non è mai frutto di un’azione casuale. Il male lo si frequenta, lo si accoglie. Mette radici nel cuore e nella mente dell’uomo, infettandolo in profondità, cullandolo in una dolce agonia.