Negli anni della “conflittualità permanente”, gli Anni 60/70 del ‘900, è stata la risposta, da destra, alla conflittualità permanente. Parliamo della cogestione, della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, dell’ articolo 46, mai applicato, della Costituzione italiana.
Dopo decenni di ostracismo, su un argomento che evidentemente colpiva nel vivo i suoi tradizionali fondamenti ideologici, la sinistra italiana pare avviata ad una significativa “revisione”.
Walter Veltroni, nel suo recente “E se noi domani – L’Italia e la sinistra che vorrei”, la pone insieme all’unità dei lavoratori tra i due grandi obiettivi sociali per un “nuovo” Partito Democratico. Su questa scia, proprio prendendo spunto dallo stesso libro, Sergio D’Antoni, figura storica del sindacalismo cattolico, ha scritto (“Democrazia economica Veltroni sulla strada Cisl”, “Europa”, 18/5/2013): “In tema di relazioni industriali vanno perseguiti strumenti capaci di garantire la partecipazione dei lavoratori alle decisioni strategiche d’impresa, elemento qualificante del sistema tedesco, che è l’unico di questi tempi a vantare risultati positivi in termini di occupazione e di produttività. Modello peraltro pienamente prefigurato dall’articolo 46 della nostra Costituzione”.
Ora, è di questi giorni, tocca a Susanna Camusso, Segretaria della Cgil, che, in una lettera sul “Caso Telecom”, pubblicata dal “Corriere della sera” il 25/9/2013 (“Camusso: democrazia economica, ora applicare l’art. 46”) arriva a dire: “Mentre i vertici istituzionali del Paese diffondono l’idea che la crisi è finita e sta iniziando la ripresa viviamo quotidianamente il dramma della chiusura di decine di attività produttive, della distruzione di migliaia di posti di lavoro, dell’impoverimento di milioni d’italiani”. Per questo la “discontinuità” è diventata oggi “indispensabile”, al punto che “si potrebbe cominciare a riconoscere, a partire dalle aziende pubbliche, l’articolo 46 (ndr. democrazia economica) della Costituzione”.
Siamo lieti di questa ennesima fase “revisionista”, da parte di una sinistra sempre più in cerca di se stessa. Un po’ come è avvenuto sul grande tema della Nazione, riscoperta su quel versante, dopo anni di radicalismo internazionalista. Ora però si tratta di passare dalle parole ai fatti.
La richiesta di riconoscimento – come specifica l’art. 46 della Costituzione – del “diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”, non può essere un’iniziativa “spot”, lanciata ad intermittenza a seconda delle occasioni, delle emergenze, dei rapporti di forza interni alla Cgil o al Pd.
La questione è – permettetecelo – un po’ più complessa e seria. L’art. 46 va visto come la reale volontà di realizzare l’ “elevazione economica e sociale del lavoro”, non solo all’interno delle aziende, ma in una dimensione più ampia, autenticamente “programmatica” si può dire, in grado di dare nuova forma all’azione sindacale, di impegnare le forze politiche, di fare crescere una nuova consapevolezza culturale e sociale.
Sul tema, la sinistra riformista, politica e sindacale, deve iniziare a fare qualcosa di più che qualche dichiarazione di buona volontà, assumendo – se ci crede veramente – iniziative concrete e conseguenti. Troverà, su questi crinali, una destra sociale sensibile, attenta, soprattutto culturalmente “attrezzata”, che può “offrire” ad una nuova stagione sociale non solo una ricca letteratura sull’argomento, ma anche tante proposte di legge, fatte, a suo tempo, dal Msi e poi da An, per anni, trattate con sufficienza e sottovalutate. Anche da lì bisogna muoversi per passare dagli auspici ai fatti. Almeno l’orgoglio della primogenitura permetteteci di rivendicarlo.
Il bello è che tutti citano la CISL, ma in realtà chi ha SEMPRE chiesto la cogestione è stata la CISNAL! Però Bozzi Sentieri ha ragione sulla necessità che i movimenti nazionali (a cominciare da Fratelli d’Italia) si occupino con serietà di questa tematica, oggi fondamentale per resistere alla globalizzazione.
Nazzareno Mollicone
Forse la Camusso si è convertita alla partecipazione, valore fondante del Sindacalismo Nazionale ??? Le dichiarazioni sono nette e precise, ma pur condividendo alcune affermazioni dal Segretario Generale della CGIL e apprezzando la volontà di ridefinire una nuova strategia sindacale, dopo anni di infelice gioco di rimessa, dobbiamo tuttavia evidenziare alcuni aspetti di criticità nelle sue affermazioni ed esprimere alcune perplessità sulle stesse.
Certamente apprezziamo l’attenzione che il Segretario Generale della CGIL pone al rischio del” le grandi aziende del nostro paese” di essere vendute “al miglior offerente, senza alcuna idea di politica industriale” e la sua constatazione “che dopo le cosiddette liberalizzazioni degli anni 90, in cui importanti asset pubblici furono regalati a manager senza capitali, …. Si sta aprendo la stagione in cui ciò che è rimasto di quella fallimentare operazione viene ceduto in saldo”. Tuttavia al di là di queste assonanze, sorge spontanea la domanda … ma la Camusso è scesa ultimamente da Marte e dove era la classe dirigente della CGIL in quegli anni ??? Inoltre dobbiamo notare una inconciliabile discrasia tra la proposta cogestiva della Camusso e la partecipazione espressa nella concezione del Sindacalismo Nazionale. La prima evidenzia quasi una iniziativa burocratico istituzionale, che promana dall’alto e coinvolge il sindacato unitariamente, il Sindacalismo Nazionale propugna invece una rivoluzione culturale e copernicana ponendo l’uomo, il lavoratore al centro del processo produttivo, il quale grazie alla sua esperienza, alla sua conoscenza, alle sue competenze, alle sue capacità e secondo queste, collabora responsabilmente all’ottimizzazione del processo produttivo, cogestendolo e partecipando agli utili dello stesso. Quindi un modello che nasce nell’impresa e si realizza nell’integrazione dell’impresa nella programmazione economica nazionale e che vede nel sindacato la struttura di rappresentanza dei lavoratori. Nella proposta, provocazione della Segretario della CGIL pare mancare proprio questo afflato partecipativo, sembra confermare la prevalenza dell’elemento burocratico indistinto dell’organizzazione sindacale sull’elemento identitario e poliedrico della partecipazione dei produttori alla gestione dell’impresa… e su questo non possiamo che dissentire. Ettore Rivabella
La mia preoccupazione è che la “bandiera” partecipativa venga ammainata proprio da chi, per ascendenze culturali e politiche, dovrebbe, con orgoglio, sventolarla. Tu, caro Nazzareno, citi la Cisnal. l’Ugl, oggi, si sente erede di quella tradizione ? E Fratelli d’Italia ? Mi auguro di sì…