Per una nuova destra. Antitasse, Pro libertà, dalla parte dei dimenticati dalla sinistra di Daniele Capezzone, si presenta, sin dalle sue battute iniziali, uno scritto solido, serio, coerentemente proteso verso un progetto meritevole, cioè quello di indicare un tragitto di crescita per la politica italiana. Non si tratta di un semplice manuale per la destra italiana, ma di un saggio di cultura politica, particolarmente brillante e intelligente, piacevole alla lettura. Teoria e azione si alternano con equilibrio, evitando facili paternalismi o interventi saccenti. Ne emerge un quadro godibile, caratterizzato da un tratto deciso e coerente, intensamente vissuto e personale.
Daniele Capezzone mostra la sua anima liberale, la sua vocazione liberista e una sobria simpatia per l’ideale libertario. Il saggio si propone l’obiettivo di “contribuire a elaborare un software, qualche idea programmatica, con il nutrimento di una visione liberale classica (e con qualche venatura libertaria) per accompagnare quella che si prepara come una lunga e incerta traversata politica” (p. 15). Il vascello della politica nostrana, dopo avere affrontato le mareggiate del periodo pandemico e la conseguente incertezza economica, viaggia titubante verso l’appuntamento elettorale del 2023, banco di prova per un centrodestra che, secondo i sondaggi, sembrerebbe essere in vantaggio sul variegato mondo liberal e progressista.
Il condizionale è d’obbligo: molti dubbi e incognite permangono. La trappola di un proporzionale ingombrante, una stagione sovranista in affanno, un bipolarismo evocato, ma mai del tutto realizzato, gettano non poche ombre sugli eventi futuri, rischiando di consegnare il Paese alla stagnazione economica, all’irrilevanza della politica, alla disillusione di un popolo sempre più disilluso e tartassato.
Le proposte avanzate nello scritto, adeguatamente corredate da una esposizione ricercata, che muove dalla conoscenza dei classici del pensiero liberale (Adam Smith, Jeremy Bentham, John Locke e John Stuart Mill), passando per i Federalist Papers di giganti come James Madison, John Jay e Alexander Hamilton, citando giornalisti e accademici di fama internazionale, si potrebbero riassumere in questo prezioso passaggio: “Ecco, la tesi centrale di questo libro è che il centrodestra del futuro debba costruire una coalizione sociale interclassista, che tenga insieme le piccole imprese private, l’Italia tartassata dagli autonomi, e insieme la parte di lavoro dipendente (a partire dai colletti blu) che la sinistra ha dimenticato, preferendo parlare a intellettuali e dipendenti pubblici. I forgotten men italiani (imprenditori e dipendenti) vanno uniti, difesi e mobilitati in uno schieramento originale e unito da interessi assolutamente convergenti” (p. 57).
La destra, ma oserei dire la politica tutta, dovrebbe andare oltre il conflitto tra libertà e sicurezza, lasciando al singolo il compito di autoposizionarsi al centro della propria esistenza. Un individuo, invece, che appare troppo spesso vessato da uno statalismo opprimente, poco equo e iperburocratizzante. La politica è chiamata a confrontarsi con due emozioni diffuse, la rabbia e la paura, infondendo speranza e ottimismo: “Da molti anni, ne conosciamo almeno due, che hanno spadroneggiato nelle nostre società, producendo effetti elettorali evidenti: la rabbia (per la crisi economica, l’immigrazione fuori controllo, la malapolitica ecc.) e la paura (i quasi due anni di emergenza pandemica parlano fin troppo chiaro al riguardo). Essendo ben consapevoli di quanto siano potenti questi due sentimenti, occorre gettare il cuore oltre l’ostacolo e tentare di ridare spazio a un terzo campo emotivo, ormai da troppi anni dimenticato, e che sembra perfino ingenuo e naïf riproporre: la speranza” (p. 73).
Una speranza che non si identifica, sia chiaro, con un generico, e tristemente noto “andrà tutto bene”, ma con “una speranza combattiva, animata da idee forti, da una prospettiva di trasformazione, da un tentativo di mobilitazione in positivo” (p. 74). L’autore indica come esempi indimenticati Reagan e Thatcher, “protagonisti naturali di una politica abitata dalla speranza” (p. 75). E per realizzare questo non vi è altra soluzione che riorientare la bussola dell’azione politica verso il punto cardinale della libertà, avendo il coraggio di limitare il governo, facendo proprio il monito della Costituzione americana, cioè quello di non sottovalutare “il timore di un’azione pubblica arbitraria ed esorbitante” (p. 95).
Secondo Capezzone “servirebbe un mix audace di presidenzialismo e federalismo: il primo per conferire carattere “decidente” alla nostra democrazia, il secondo per gestire in modo intelligente una realtà come quella italiana che per definizione è disomogenea (geograficamente, storicamente, culturalmente, economicamente)” (p. 97). Non si tratta soltanto di questioni di contenuto, anche il metodo conta e non poco. La destra per affrontare le sfide presenti e future, secondo l’autore, dovrebbe rompere ogni indugio, facendo proprio un approccio fusionista, fondato su idee comuni e condivise, evitando deleterie concorrenze interne alla coalizione che, alla lunga, alimentano tensioni e rivalità tra i leader, erodendo il consenso.
Sarebbe opportuno, inoltre, favorire il dibattito interno tra i candidati migliori, adottando il sistema delle primarie all’americana. Ingranare la quinta sui diritti civili, non sottostando, tuttavia, alle derive illiberali tipiche della cancel culture. E, soprattutto, vincere una diffusa diffidenza della destra italiana per il liberismo, autentico motore in grado di generare ricchezza e di favorire la ripartenza dell’economia del Paese.
Un ultimo suggerimento, molto acuto, riguarda il ruolo della comunicazione: scegliere con attenzione le figure da proporre al grande pubblico, magari arruolando influencer e opinionisti in grado di raggiungere classi sociali ed età differenti. Vincendo, infine, un persistente senso di inferiorità intellettuale e culturale di cui, purtroppo, ancora oggi risente la destra italiana, ma che non corrisponde alla realtà storica, apparendo del tutto immotivato e anacronistico: “Occorre resuscitare un metodo per difendere alcuni contenuti. Mostrare che è ancora possibile argomentare, ragionare, provare a convincere, a persuadere. Risalendo ai principi, non avendo paura di make the moral case for, cioè di illustrare le ragioni di fondo (culturali, morali), per cui si assume una certa posizione. Ricollegando la scelta dell’oggi, del presente, a una bussola ideale di fondo. In tempi in cui tutto appare casuale, frettoloso, istantaneo, direi alla Snapchat (come quel social dove un’immagine compare e poi scompare dopo pochi secondi), ridare il senso che esistano cose più “lunghe” e più profonde è l’unico modo per andare davvero controcorrente rendendosi forse utili agli altri. E a se stessi” (p. 236).
Daniele Capezzone, Per una nuova destra, Piemme, 2021. Pp. 252, euro 17,50