Kabul, 12 aprile 2013. Cinquantadue italiani è il prezzo che il nostro Paese ha pagato a tutt’oggi il suo impegno in Afghanistan. La proposta di legge del Movimento di Grillo, di una mozione urgente da discutere in parlamento per il ritiro delle nostre truppe dai teatri di guerra, ha suscitato molto clamore da parte dei nostri ragazzi in divisa che in Afghanistan operano inquadrati da ISAF, la forza multinazionale che dal 2001 lavora per la ricostruzione del Paese. L’aria è pesante, avvicinati nei Pics, i piccoli market che servono per le necessità urgenti del personale, non ne vogliono parlare. Sono professionisti e pensano al loro lavoro. Nel Comando ISEF il Capo di Stato Maggiore è italiano, il Generale Giorgio Battisti che è anche comandante della base NATO di Solbiate Olona.
A Kabul insieme agli altri militari della forza multinazionale operano donne e uomini dell’esercito italiano, baschi neri, baschi amaranto dei paracadutisti, alpini, avieri. Mentre nella provincia di Herat comandano gli italiani. La provincia è grande quanto il Piemonte e la Lombardia messi insieme, con una popolazione di 3 milioni e 200 mila abitanti. La presenza italiana è qui lo specchio del loro lavoro che, come abbiamo detto, dura dal 2001. Pochi numeri ci dico però quanto hanno fatto i nostri ragazzi: oggi lavorano qui circa 2900 italiani, nel 2011 avevano raggiunto il picco di 4716 unità, ma erano anni difficili. Si diceva “shoona ba shoona” spalla a spalla per identificare l’impegno dei nostri. Spalla a spalla con le forze di polizia e della ricostruzione per cercare di far uscire l’Afghanistan da anni bui, oggi il motto è “Afghanistan to the fore” l’Afghanistan per se stesso, per quanto vale. E’ il motto che ribadisce che oggi cambia il vento, l’impegno di ISAF non è più solo aiutare e ricostruire ma cooperare con il governo e le autorità militari e civili che, grazie anche al nostro aiuto, ora sono in grado di badare a se stessi e quindi a far rispettare le leggi e imporre la sicurezza.
Questo significa sviluppo e autodeterminazione. Un progressivo ritiro che però non vuol dire andarsene, ma accompagnare un Paese che vuole e desidera essere se stesso. L’Italia tramite il nostro Esercito ha in cantiere per quest’anno16 progetti nel campo dell’istruzione, della sicurezza, del trasporto, della salute, dei servizi e della governance, già finanziati con una legge che impegna 2 milioni e 387 mila Euro. In tempi di ristrettezza economica ci si domanda come vengono spesi questi soldi. Bene. Prendiamo un settore che la cooperazione italiana ha lavorato, sono dati nazionali ma perfettamente sovrapponibili alla provincia di Herat in termini percentuali: nel 2002 c’erano 6000 scuole, oggi 15000; le ragazze che frequentavano le scuole di ogni grado nel 2002 erano 500 mila, oggi 4 milioni. E nella provincia di Herat le donne che insegnano sono il 30% del corpo insegnanti. Durante un incontro riservato con un alto funzionario del dipartimento americano, abbiamo avuto la conferma che il periodo di transizione non sarà un’uscita tipo quella avvenuta per l’Iraq. L’Afghanistan sarà, invece, partner strategico con i Paesi occidentali nel processo del proprio progresso sociale ed economico.
Ed anche il generale Giorgio Battisti, ha confermato che l’Italia, alla chiusura del periodo previsto per la transizione, sarà partner strategico dell’Afghanistan, tenendo anche conto dei legami storico culturali che legano i due Paesi.
“I nostri soldati, di cui dobbiamo tenere alto il ricordo, con orgoglio, non saranno morti invano, ha sottolineato Battisti”.
Ricordiamo che l’Italia ha ospitato il re afghano, Mohammed Zahir Shah, nei suoi trent’anni di esilio, sino al suo rientro a Kabul, nel 2002, dove si è spento nel 2007.
Lo ha ricordato anche il Capo di Stato Maggiore dell’ANA le Forze Armate Afghane generale Shir Mohammad Karimi, che abbiamo incontrato al Ministero della Difesa Afghana a Kabul.
Il generale Karimi, nel sottolineare la sua soddisfazione nell’aver inviato suo figlio all’Accademia dell’Esercito di Modena e a Torino, ha espresso cordiali parole per l’amicizia, la simpatia e la collaborazione che legano le Forze armate italiane ed afghane.
Non sarà un ritiro, alla fine della missione Isaf, ma solo una trasformazione.
Sarà ancora l’Italia ad affiancare le forze di sicurezza afghane per collaborare nell’addestramento e nella pianificazione delle attività, come già ora avviene con il contributo molto apprezzato dell’Arma dei Carabinieri, su cui il generale si augura di poter ancora contare. Sperando che il nostro parlamento capisca e interpreti il grido di aiuto di una nazione che vuole vedere la luce. Così il sacrificio dei nostri 52 ragazzi non sarà stato vano e potremo guardare negli occhi i familiari dei nostri militari caduti.
(ha collaborato Maria Clara Mussa. Nella foto, il generale Mohammad Karimi e il Generale Giorgio Battisti)