Che lezione solenne e nello stesso momento elementare quella impartita da Sabino Cassese a proposito dei concorsi! Il vecchio giurista campano, costituzionalista tra i maggiori, dalla dottrina corrente troppo spesso trascurato e dimenticato, ha dovuto ricordare a Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania, l’impossibilità di provvedere con un concorsone riservato locale agli uffici dei supplenti, mancanti in migliaia di casi.
Cassese ha avuto gioco facile nel ricorrere alla denuncia e alla sottolineatura degli argomenti abbreviativi, tali da aggirare la competizione, reale e seria con metodi e sistemi sbrigativi, non convincenti, principalmente non qualificanti ed elusivi di norme magari elementari. Sono tutti di marca sindacale, preposti in sintonia le burocrazie ministeriali, solerti e tutt’altro che attente e preoccupate della realtà, della serietà e, se ci si consente, della tradizione scolastica consolidata e consacrata dai decenni.
Cassese, con l’obiettività e l’equilibrio che gli sono tipici e che lo contraddistinguono, osserva che oggi si vive una corsa ad evitare i concorsi, dal carattere particolarmente acuito in questi anni più vicini. Il giurista rileva che se la selezione avviene in virtù del nefasto “spoils system” è impossibile attendersi uffici pubblici gestititi da tecnici e da competenti, in grado di rispondere alle esigenze e alle richieste della società alla quale dovrebbe recare utilità.
Cassese sa cogliere il punto cruciale per il progresso, la crescita e i miglioramenti del paese. Solo con una competizione aperta ed imparziale è possibile raggiungere e soddisfare due esigenze, di peso e di qualità, “una della società” (dare eguali possibilità a tutti) e una dello Stato (scegliere ed utilizzare i migliori e più capaci). Senza concorsi non è difficile comprendere che si creano condizioni di favore e di discriminazione e si lascia solo spazio alla criticata e fallimentare burocrazia.
Il professore riconosce però la possibilità di un mutamento e di una revisione delle prove e allo stesso tempo respinge l’obiezione tanto fumosa quanto inconsistente sulla meritocrazia: l’insegnante deve svolgere la materia secondo una linea educativa, abile, matura e consolidata. Non nasconde poi un altro effetto negativo e fuorviante, foriero di effetti devastanti: si prevedono frustrazioni e mortificazioni, avvilenti e condizionanti per coloro che non avendo “un Santo in paradiso” (un partito, un clan, una potente famiglia) si sentono esclusi e discriminati con conseguenti effetti negativi e controproducenti.