Nel ringraziare Weilbacher per aver aperto un confronto sul documento reso pubblico ieri da Viviana Beccalossi ed altri (tra cui – a beneficio del lettore – anche il sottoscritto) e Destra.it, sempre più attenta e veloce di altri a registrare “segnali di vita”, corre l’obbligo di ribadire alcune posizioni che non casualmente rappresentano il canovaccio dell’iniziativa partita da Viviana.
Premesso, come facilmente desumibile dal documento, che non ci interessano polemiche intestine o fratricide, e men che meno la colpevolizzazione di questi o quelli sugli evidenti errori del centrodestra del passato, il nostro ragionamento parte da una presa d’atto del presente, ed una proposta sul futuro che sia figlia più di quanto avverte la sensibilità dei sottoscrittori che di una mera valutazione di convenienza o di acritica adesione al “senso del vento”.
Sul presente: il vantaggio acquisito da Salvini è tanto innegabile quanto frutto del suo lavoro e non del fato.
In costanza di un centrodestra (qui inteso come la somma di tutte le anime non provenienti dalla Lega) ancora incapace di lasciarsi alle spalle i disastri della stagione degli accoltellamenti tra Fini e Berlusconi (dolosamente coincisa con il maggior consenso politico e culturale del corpo elettorale), e mai rialzatosi dallo schiaffo della manleva coatta dal governo operata dal duo Napolitano-Monti, il veloce “felpato” ha monopolizzato l’attenzione sui temi della sicurezza e dell’immigrazione, sapendo che le condizioni generali non consentono di affrontare con serietà le principali questioni economiche e sociali.
Ed ha fatto il pieno, acquisendo legittimamente la leadership dell’area; che ha poi però deciso di investire formando il governo con la parte – quella sì – concettualmente più lontana da una destra autorevole e responsabile.
Si, perché anche se pure l’ottimo Weilbacher si iscrive alla schiera di quanti predicano il superamento del confronto destra/sinistra, che divide da secoli il sentimento del mondo e – sono pronto a scommetterlo – tra secoli ancora rappresenterà il crinale di appartenenza, noi restiamo convinti che alcuni elementi restino assai più costitutivi di una sensibilità politica piuttosto della nuova, supposta (e strutturalmente marxista) divisione tra “sovranisti” ed “elites”.
Troviamo quindi imperdonabile, e lo diciamo in chiaro a Salvini di cui pure siamo amici e di cui condividiamo le prime scelte ministeriali, che conceda ossigeno a chi pensa sia giusto un mondo in cui si possa stare a casa a fare un beato cazzo, in attesa del contributo pubblico mensile, finanziato dai denari di chi lavora e viene tartassato dalle imposte. Pensiamo che pauperismo, decrescita, colpevolizzazione preventiva di chi genera e realizza benessere, di chi studia ed approfondisce, di chi pretende che non sia lo stato (la minuscola non è un refuso, in questo caso) a decidere per conto di cittadini famiglie ed imprese, siano robaccia da bandire dal dibattito politico.
E ci fa ribrezzo l’idea che, chi proviene da questa parte, possa provare anche la minima simpatia per chi ha trasformato in Ministro del Lavoro qualcuno che ha solo nella sua vita distribuito noccioline allo stadio, Ministro delle Infrastrutture chi combatte le grandi opere, Ministro della Salute chi contesta l’efficacia dei vaccini, Ministro per il Sud chi sostiene che l’economia funzioni in estate perché accendiamo i condizionatori. Chi vorrebbe l’estrazione a sorte dei senatori, per parificare ai suoi metodi le scelte degli altri. E potrei proseguire all’infinito.
Riconosciuto il ruolo oggi primario di Salvini, e richiamatolo ad una coerenza progettuale che non può certo garantire con i grUllini stAllati, ecco allora il richiamo ed una proposta al resto del centrodestra in cui – con diverse sfumature – da sempre sono più le cose condivise da quelle che separano.
Perché ciò che serve, a nostro avviso, non è la poco dignitosa riedizione dell’italica specialità di saltare sul carro (carroccio, in questo caso) del vincitore; bensì la ricostituzione di un’area che – muovendo dai contenuti e non da interessi o astuzie – sia integrativa e non sostitutiva di quanto ha costruito il segretario leghista. Sapendo che – per almeno un prossimo medio periodo – i rapporti di forza saranno invertiti rispetto a quanto registrato nel ventennio trascorso.
Non abbiamo nostalgia del PDL per come si è concretamente comportato, è chiaro; così come ci piacerebbe che il sostantivo “nostalgia” scomparisse da ogni proposta. Abbiamo provocatoriamente scelto quel riferimento perché – piaccia o no – fu l’ultimo (unico ?) tentativo di trovare sintesi che guidassero l’azione politica verso una visione strategica della società (che condividemmo allora come ancora ci piace oggi), di cui facciamo cenno nel documento e che penso e spero sarà oggetto di prossimi approfondimenti, rinunciando ad accomodarsi su una scialuppa che segua il corso delle mutevoli pulsioni popolari/populiste. E per questo ci rivolgiamo ai tanti che – siamo convinti – la pensano come noi, perché si liberino dalle catene che ancora li vincolano a strutture nominalistiche fatiscenti a solo vantaggio di pochi spregiudicati capi bastone esclusivamente interessati all’autoconservazione.
No, non ci basta il neo-schema “sovranismo/moderatismo”; soprattutto poi se il primo termine si traduce invariabilmente nel vellicare gli istinti peggiori dell’invidia sociale e del “robespierrismo”. La gggéééénte non ha sempre ragione; e compito di una classe dirigente non improvvisata è proprio quella di saperne correggere e guidare le pulsioni. Altrimenti si è solo collettori di consensi per accomodarsi sulle poltrone più ambite.
Il nostro messaggio può piacere o – legittimamente – risultare ostile. Ma parte proprio dalle idee. E forse sarebbe ora che, almeno da questa parte, cadesse la presunzione tipicamente sinistra dell’intellettualismo per cui ci vuole sempre il “ben altro” di veltroniana memoria.
Nel commentare l’appello di Viviana Beccalossi mi ero augurato un dibattito di idee serio e anche duro.
Massimo Corsaro raccoglie l’invito, il che è una buona notizia, ma non sono sicuro che le sue intenzioni (almeno per come si manifestano dal suo intervento) vadano verso un confronto aperto e costruttivo, e questa potrebbe essere la cattiva notizia.
Corsaro chiude il suo l’intervento con una frase un po’ sibillina, che forse ne è la chiave di lettura, accusando di “presunzione tipicamente sinistra dell’intellettualismo” ed etichettando addirittura come benaltrismo veltroniano le riflessioni critiche provenienti da “questa parte” (cioè da destra).
Sorvolando sui vecchi schemi mentali alla base della pessima abitudine (quasi pavloviana) di esorcizzare i ragionamenti non graditi, o comunque non condivisi, qualificandoli come “intellettualismi“ per di più “tipicamente sinistri”, mi preme mettere in luce una possibile conseguenza pratica deducibile da questo atteggiamento.
Se (e sottolineo il se) la proposta/appello dei 25 firmatari è preconfezionata e a scatola chiusa, se è un prendere o lasciare senza spazio di discussione e/o di confronto all’interno dell’area politica se, quindi, è un blocco al quale si può solo aderire ma non contribuire temo che troverà seri limiti, come molte altre iniziative politiche di area contaminate dall’antico e persistente vizio del verticismo.
Passando dal piano del metodo a quello del merito, credo che anche qui la visione di Corsaro pecchi di schematismi un po’ datati: la contrapposizione meccanica tra una destra e una sinistra cristallizzate – che poi altro non è che il vecchio modello comunismo-anticomunismo senza più il comunismo – non è più in grado di dare risposte politiche adeguate ad una società globalizzata nella quale, come insegna Szygmunt Baumann, la democrazia rappresentativa è in crisi da anni per lo svuotamento progressivo di poteri operato da oligarchie non elettive.
Qualificare come “strutturalmente marxista” (vedi sopra…) le analisi di de Benoist, Baumann, Tarchi e molti altri è francamente (absit iniuria verbis) una sciocchezza.
Non a caso con questa chiave di lettura nessuno riesce a spiegare adeguatamente gli avvenimenti di questo periodo e tutti si incartano in discussioni sul sesso degli angeli per capire se i grillini sono di destra o di sinistra, o sul perchè gli operai votino Lega.
Che la contrapposizione destra/sinistra “divida da secoli il sentimento del mondo” è vero sino ad un certo punto; che lo farà ancora nei secoli a venire è tutto da vedere.
E’ invece del tutto evidente che nei termini classici e fossilizzati nei quali la si continua invocare risulti del tutto insufficiente a spiegare molti passaggi di ieri (basti pensare allo stesso Fascismo che, nato dal socialismo rivoluzionario, ebbe sempre al suo interno una componente sociale, rivoluzionaria e antiborghese trasmessasi anche al MSI e giunta in qualche modo sino ai giorni nostri) e soprattutto di oggi.
Di sicuro un approccio del genere si perde la specificità dei cambiamenti indotti dalla globalizzazione e dalle trasformazioni sociali conseguenti.
Trovo poi del tutto insufficiente l’analisi del fenomeno grillino, in realtà niente più di una descrizione superficiale e caricaturale del fenomeno, non molto diversa (e non è un caso) da quella che ne fa la sinistra, che evidentemente applica uno schematismo uguale e contrario.
Ma limitarsi a descrivere, con la puzza politica sotto il naso, il M5S come “chi pensa sia giusto un mondo in cui si possa stare a casa a fare un beato cazzo, in attesa del contributo pubblico mensile, finanziato dai denari di chi lavora e viene tartassato dalle imposte” senza sforzarsi di capire le dinamiche sociali e culturali che hanno portato 1/3 degli elettori italiano a farne il primo partito del paese non aiuterà certo a contrastare il fenomeno, a ridimensionarne la portata né a dare una seria risposta politica ai bisogni che stanno alla base di certe scelte.
Il vecchio schema politico non è finito perché sono arrivati i grillini, ma al contrario i grillini sono arrivati perché il vecchio schema era esaurito e inadeguato.
Senza consistenti risposte politiche serie ed innovative il M5S continuerà a prosperare e gli insulti a base di fancazzismo e noccioline allo stadio non faranno che rinforzarlo, se questa sarà l’unica replica che si riesce a dare.
Detto questo, confermo le mie riserve di merito e, a questo punto, anche sul metodo.
Il vizio di svilire come “intellettualismi” ogni tentativo di analisi ed elaborazione a favore di formule politiche e schieramenti è antico e persistente (De Marsanich nel 1950 parlava di “inutili elucubrazioni”) e storicamente non ha mai portato niente di buono.
Se la mia previsione si dimostrerà sbagliata, nessuno sarà più contento di me.