Chi ha aderito al corteo della Lega Nord a Milano, sabato 18 ottobre, Difendiamo i Confini Stop Invasione, ha certo in mente quello che oggi rappresenta la «deterritorializzazione» in atto e un tipo di merce in particolare. Quella umana. In tal senso, visto che a Reggio Calabria manifestava anche un secondo partito, Fratelli d’Italia, innanzi tutto è opportuno chiarire un argomento importante: le Organizzazioni Non Governative (ONG), sono uno dei terminali della globalizzazione e del processo avviato da alcuni responsabili delle politiche d’integrazione. Le quali, visto gli ingenti finanziamenti pubblici e privati, dovrebbero convergere almeno su un punto: l’impegno della società civile a favore di popoli colpiti da calamità di ogni genere e di tutta l’assistenza sociale che comporta, nello scenario in cui si va ad adoperare. Contrariamente a quanto si pensi, spesso questo impegno è parte integrante del sostegno a forme di assistenzialismo umanitario da incentivare solo nei paesi ospitanti. Cosa che entrambi gli schieramenti, prima e dopo le due manifestazioni, si sono guardati bene dall’approfondire.
In quanto al caso italiano e all’operazione “Mare Nostrum”, che chiuderà i battenti cambiando denominazione, il primo novembre 2014 ? La sostanza non cambia e neppure il nome, pescato non a caso nella mitologia greca, che ha lo scopo di migliorare l’estetica dell’operazione e permetterne il rilancio. Si chiamerà “Triton” che è poi il figlio di Poseidone, che vestendo a sua insaputa gli inusuali pannidi arbitro dei flussi migratori e spoglio di ogni suo potere, non riuscirà a porre fine all’ammaraggio di migliaia di disperati nelle coste italiane. E questo è un dato oggettivo. Quanto, quel mix di sacro e buonismo profetico, che ha acceso l’ira dell’Organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani Amnesty International. Preoccupata di non essere più al centro delle iniziative umanocentriche e, contemporaneamente, intenta a rivendicare insieme alla galassia dei «buoni» cosmopoliti, il posto che gli compete e il giusto riconoscimento dell’azione svolta; l’attingere alle donazioni del 5 per mille è solo una piccola parte. Insomma, nulla è cambiato e nulla cambierà. Tuttavia, per scendere in piazza a Milano e a Reggio, bastava solo questa motivazione. Manifestare contro i «buoni» che contano e che decidono quali iniziative solidali vanno bene per l’Italia e l’Europa. Peccato per loro: c’e’ chi ha deciso di manifestare contro questo scempio interminabile e contro quel gioco assurdo che mette a rischio la pelle di tutti. Nessuno escluso.
Ma dobbiamo dirla tutta: lo striscione leghista che rivendicava l’esistenza di un’I-talia di Merda nel nome della secessione, non è passato inosservato. Ma per quale ovvio motivo ? Perché Salvini deve fare ancora i conti con le scorie pagliaccesche, dure a morire, del suo partito. Per chi non lo avesse capito, trattasi di partito e non un movimento, come Fratelli d’Italia. E in aggiunta, perché, la manifestazione di Reggio Calabria di FdI, dotata di tutto il corollario patriottardo, perlomeno non ha accampato diritti di nessuna ultima spiaggia per un fronte identitario. Un elemento insignificante e una questione da esporre, di striscioni tricolore e, nulla più. Questo per onor di cronaca va detto. Tenendo bene in mente che a Milano, una larga fetta di popolazione e di cittadini, non si identifica nella democrazia rappresentativa e nella partitocrazia “classica”. Eppure, la Lega è un partito. Eppure, a manifestare con loro, c’erano anche i ragazzi di Casa Pound. Già, proprio loro. Quelli che se ne fregano giustamente del politicamente corretto, delle riedizioni femminee del Front National e del ritorno della vecchia fiammella aennina ad ampio spettro. Fuochi fatui: la fiammella.
I due cortei sono comparabili? Solo secondo la diversità aristotelica tra la forma e la materia: quello a Nord, è stata partecipativo. Nessuna corsa a chi arriva prima, nessun individualismo metodologico, nessuna preclusione a tematiche importanti, condivise, mantenendo ognuno e ordinatamente le proprie specifiche di gruppo o di movimento. Tutto questo è alla base del successo della manifestazione milanese, nitida e di popolo, pur riflettendo a posteriori sulle prossime elezioni regionali e comunali che vedranno il partito di Salvini protagonista. Ripetiamo, trattasi di partito e non movimento che dovrà fare i conti con degli alleati e con il pallottoliere sotto elezioni. Un piccolo ma grande scoglio partitico, messo in disparte e a ragione, dalle forze presenti al corteo e un’urgenza impellente, come quella che stiamo attraversando, che non richiede calcoli congrui alla macchina dei grandi schieramenti. Però, da Milano a Reggio, sorge lo stesso interrogativo.
A proposito di alcuni partiti e movimenti di protesta, non possiamo tralasciare un piccolo particolare. Secondo Alain de Benoist, che ha abbondantemente analizzato le sfaccettature differenti del populismo e quella voglia di partecipazione diretta dei cittadini, in alcuni casi, potrebbe all’improvviso emergere una controindicazione. Ecco il rovescio della medaglia: «quello di essere spesso un movimento di protesta creato dall’alto, con capi carismatici che fanno grandi promesse, ma non offrono soluzioni ai problemi». Non sarà certo il caso di Matteo Salvini che ha dimostrato intelligenza politica e un linguaggio chiaro e diretto su alcuni punti inamovibili. Il quale, comunque, dovrà in ogni caso vedersela con la scelta delle strategie di coalizione, per provare ad allontanare lo spettro ventennale di un possibile governo di Centro Sinistra. Tutto da verificare a seconda delle sfide che il Carroccio dovrà affrontare in Italia e per “l’altra Europa” che vuole contribuire a costruire. Due fronti, dove vuoi o non vuoi, secondo la legge dei grandi numeri, soprattutto quando si parla di governabilità della Nazione e per decidere a Bruxelles, sono stati riposti momentaneamente nel cassetto. Solo all’apparenza?