I marchi contano più dell’incapacità e della passione che parecchi “politicamente corretti”, dedicano all’allevamento degli asini sardi. Non ce ne voglia il nobile animale per il paragone azzardato con le leve giovanili della partitocrazia, le quali, come riproduzioni annacquate dei padri del nulla, sia a Destra come a Sinistra, riescono a totalizzare il punteggio maggiore della vacuità di intenti: la guerra per il simbolo dell’ex Alleanza Nazionale, vive di vita propria, e di fiammelle che paiono da tempo l’aria di energie e di prodotti di degradazione. Adriano Segatori, Psichiatra-psicoterapeuta, P.H.D. in scienze sociali e comunicazione simbolica, membro della Sezione Scientifica “Psicologia Giuridica e Psichiatria Forense” della Società Italiana Scienze Forensi, nell’ultimo convegno del Centro Studi Polaris, tenutosi a Schio, in provincia di Vicenza, qualcosa sui simboli, differentemente dai marchi e dal voyeurismo che da inizio 2008, anno che sancì l’inizio della crisi strutturale e che sino al 2012, anno in cui sono stati ceduti all’estero 437 marchi dell’eccellenza del Made in Italy (quando un marchio non è un simbolo) con una spesa complessiva di 55 miliardi di euro, ha illustrato alla perfezione lo spauracchio inconscio di una società che è poi la nostra.
A seconda delle preferenze, una testa d’ariete e un assedio corrispondente alla tecnica che controlla a grandi linee la società e il quotidiano. Soprattutto dove, la politica basata su una comunicatività artificiosa e prosopopeica, include anche l’ultima lite delle comari di AN; rappresentando l’ennesimo dono limitato alla sfera dei privati che depredano una pubblica appartenenza che, secondo alcuni, è un simbolo e non un marchio, politico, prima ancora del capitale. Usando come tramite una spinta propulsiva (necessaria) la quale dovrebbe essere paragonata all’appetibilità delle eccellenze italiane del Made in Italy rivolte al mercato estero ? Neppure per idea. Ai sostenitori dei loghi e di un’opera sgraffignata, in fretta e furia, dallo Ionedi Platone, la pazienza di un “popolo” deve avere un limite a seconda delle aspettative di ciascuno. E allora, come biasimare il povero Socrate (certo non le comari) che solo per una volta, non accetta in nessun caso di svelare la discendenza degli antichi cantori dell’antico mondo greco e delle loro opere calate dall’alto dagli dei dell’Olimpo. Componimenti autentici dispersi nell’abisso della politica che delega a terzi.
Verso quel luogo dove addirittura un miope, riscopertosi avveduto, abituato com’è a gestire a tentoni l’incomprensibilità delle ultime rivendicazioni e degli slogan dei possessori di una fiamma dai contorni serigrafici, sempre più fievoli, riesce a comprenderne “l’indecifrabile”: una minuscola, davvero minuscola piega della Forma Capitale, stretta pure negli interstizi di un passato incompiuto. Quando la formazione politica e “Che Fare ?” riesaminati nella tre giorni «a confronto con operatori economici e politici nel cuore produttivo del nord-est, che più soffre l’attacco», i quali non hanno mai pensato di eliminare i desideri sostituendoli con le voglie. Queste ultime, poco differenti con l’apparato privatista della forza di governo e della proletarizzazione dell’impiego di un contrassegno. Nel momento in cui è quasi impossibile per molti accettare scelte inseparabili di un destino riadattato e uguale per tutti.