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Diritti umani in Turchia. L’Occidente rompe con Erdogan ma l’Italia resta zitta e muta

di Gian Micalessin
24 Ottobre 2021
in Estera, Guerre e pace
1
Diritti umani in Turchia. L’Occidente rompe con Erdogan ma l’Italia resta zitta e muta
       

L’espulsione degli ambasciatori di dieci paesi occidentali (Stati Uniti, Francia, Germania, Canada, Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia e Svezia) messi alla porta dal presidente  turco Recep Tayyp Erdogan per aver chiesto la liberazione di  Osman Kaval,  un dissidente  e filantropo colpevole di battersi per i diritti umani e per le  minoranze curde e armene,  è vergognosa. Benché i giudici lo abbiano assolto dall’accusa di aver finanziato l’opposizione e il governo non sia  riuscito a provare la sua presunta partecipazione al colpo di stato del 2016 Kaval è in galera da oltre quattro anni. Il tutto mentre la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ne  pretende  la scarcerazione dal 2019  e il Consiglio d’Europa prepara una procedura d’infrazione contro Ankara.

Siamo noi italiani, però, a doverci vergognare di più. Tra i nomi dei diplomatici battutisi per  la liberazione di Kaval  manca,  infatti, quello del nostro ambasciatore ad Ankara. La nostra diplomazia, a differenza di un Mario Draghi che non esitò a definire  Erdogan un dittatore, non ha mai  preso posizione sullo stato dei diritti umani in un paese  che negli ultimi anni non ha perso occasione di  compromettere  i nostri interessi nazionali.  La Turchia, anche se la Farnesina, il ministro Luigi Di Maio e il nostro ambasciatore ad Ankara sembrano averlo scordato,  è  lo stesso paese che nel novembre 2019 stipulò  un accordo marittimo con il governo di Tripoli  finalizzato, tra i vari  obbiettivi,  a tagliar fuori l’Italia da qualsiasi ricerca di idrocarburi  nel Mediterraneo. Un  accordo seguito,  settimane dopo,  da quello  che trasformò parte del porto di Misurata, città dove abbiamo  un ospedale militare, in una base della Turchia. Per non parlare dei tentativi di mettere le mani sulla Guardia Costiera  di Tripoli  da noi finanziata e, più in generale,  di subentrare all’Italia come potenza di riferimento in  Libia. Il tutto mentre  i nostri confini orientali restano, dal 2015,  una delle mete di quei migranti usati  da Erdogan come arma di ricatto nei confronti  dell’Europa.

Certo dietro le distrazioni della nostra ambasciata ad Ankara e della Farnesina c’è il tentativo di difendere  gli oltre 9 miliardi di esportazioni  (dati 2020) che – assieme ad un’interscambio da oltre 17  miliardi e all’attività di oltre 1500 nostre aziende –  fanno dell’Italia il sesto partner commerciale della Turchia. Ma se  alleati e partner europei del peso di Stati Uniti,  Francia,  Germania e Olanda  hanno deciso di  mettere a rischio le  relazioni  diplomatiche con un regime  come quello turco allora qualcuno, dall’Ambasciata di Ankara fino alla  Farnesina, farebbe bene a chiedersi se quei nove miliardi di esportazioni valgano  la vergogna  di cui ci copriamo ignorando la desolazione di  una Turchia trasformata nel  cimitero dei diritti umani.

La cacciata di quei dieci ambasciatori ci  trasforma nell’ultimo puntello  d’un regime sempre più isolato  internazionalmente  e sempre più a corto d’ossigeno su un fronte interno dove inflazione galoppante e svalutazione erodono, giorno dopo giorno,  i consensi di Erdogan. E in un paese sull’orlo della bancarotta politica ed economica  il ruolo di partner privilegiato rischia di rivelarsi una maledizione anzichè un vantaggio. 

Tags: diritti civiliErdoganMinistero degli EsteriTurchia
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Commenti 1

  1. Giulio Persano says:
    8 mesi fa

    Giggino o’bibbitaro come ministro sta causando dei danni enormi…un totale incapace

    Rispondi

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