All’indomani della giornata, in cui ha ricevuto due sonori ceffoni, l’uscita dal partito del presidente del Senato e la riconferma di Visco alla guida della Banca d’Italia, il presunto e sedicente “statista” toscano ha continuato, imperterrito e sfrontato, a cercare la ribalta con il suo tipico ed inguaribile protagonismo banale e puerile.
Per fortuna e si tratta di un autentico miracolo che qualche giornalista, non certo dei fogli della scuderia berlusconiana, ossequiosi e deboli nella denunzia del quadro politico, abbia usato parole sferzanti e sarcastiche su una bravata dell’ex premier, compiuta in una chiesa della Campania all’insaputa (?) di un distratto (?) sacerdote.
Dopo aver definito Renzi “un omino riservato”, Massimo Gramellini – questo è il nome del coraggioso – ha individuato nel “Padreterno, l’unico candidato che il PD avrebbe qualche probabilità di far eleggere nei collegi a nord di Bologna”. Ha segnalato poi che “don Matteo” dall’altare della basilica di Paestum ha commentato alcuni passi del “vangelo secondo De Luca”, il governatore della regione responsabile dell’organizzazione con la gita delle sue truppe “cammellate”. Il giornalista del “Corriere della Sera” , dopo una felice battuta sul futuro alleato (solo futuro?) del toscano, detto riduttivamente “l’unto del Signore, ha indicato le linee della “nuova missione” : “rottamare la Curia, introdurre il culto di Maria Elena Addolorata e dare 80 euro di elemosina a ogni chierichetto”.
Ma ben altre e ben più serie sono le questioni di correttezza democratica, di cui tardivamente si scopre la perniciosità, e le altre all’orizzonte.
Solo adesso con la fiducia imposta sulla legge elettorale, destandosi da un letargo triennale, Grasso si è accorto della “violenza” esercitata ora da Gentiloni e prima ancora in maniera sistematica da Renzi sulle Camere.
Il guru dei sondaggisti, Nando Pagnoncelli, senza mezzi termini, dopo calcoli assai più complessi di quelli del famoso mezzo pollo, ha rilevato il profilarsi , nonostante il consenso largo e strumentale, raccolto dalla legge, di un Parlamento privo di maggioranze. Allora sorgerebbe – se già non le conoscessimo – spontaneo l’interrogativo sulle ragioni alla base del comune orientamento assunto da Renzi e da Berlusconi. I loro esperti hanno sviluppato il progetto in maniera tale da “costringere” (diciamo per ridere o meglio per piangere) i dioscuri alla creazione di un esecutivo delle “larghe intese”. La Meloni, che si è opposta, e l’altro, il leghista, ora con velleità sull’intero territorio , si sono rassegnati al ruolo di “sherpa”?
L’altro schiaffo Renzi l’ha ricevuto, come il celebrato pifferaio, nella battaglia contro Visco, combattuta con argomentazioni ipocrite, astiose e biliose e scatenate con mozioni, giudicate dal vicepresidente della Commissione parlamentare banche, il democratico Mauro Marini, “improponibili” e poste in discussione da una presidente, una volta di più inefficiente ed inadeguata.
L’opinione pubblica si è accorta delle ragioni del rancore, palesato concretamente nella seduta del Consiglio dei Ministri, dedicata alla ratifica della nomina con l’assenza = fuga degli ascari di Renzi, con il dissenso di Orlando e la “rabbia” di Minniti presenti ad ennesima dimostrazione di una frattura inequivocabile.
Va insistito sull’antitesi tra le ragioni contrarie a Visco, espresse da FdI, dalla Lega e M5S, i partiti di vera opposizione, e quelle reali del PD. I primi hanno inteso censurare il governatore per gli scarsi o inesistenti controlli esercitati su situazioni negative (le banche cattoliche venete) o assurde (gli istituti di credito toscane), tradottesi in enormi danni per gli innocenti risparmiatori mentre il partito del cattolico Renzi, già comunista, ha camuffato i propri errori e riscoperto un senso istituzionale falso ed innaturale.