C’é chi ha maturato in tempi più o meno recenti una distanza politica da Silvio Berlusconi. Chi ha auspicato a più riprese e ancora auspica il superamento della sua leadership e la ricostruzione di un centrodestra “normale”. Chi in passato si é persino ritrovato a criticare provvedimenti sulla giustizia che, spesso condivisibili in sé ma fuori da un grande impianto riformatore mai portato a compimento, hanno alimentato la propaganda della sinistra sulle leggi ad personam. Chi ha più volte sottolineato come dietro all’accanimento delle toghe rosse contro Berlusconi troppo spesso il centrodestra ha coperto comportamenti inaccettabili di suoi esponenti tutt’altro che perseguitati. Molti di noi sono stati tra questi.
Ma questi elementi di differenziazione non possono portarci a tacere di fronte alla violenza deflagrante di una sentenza che segna il coronamento, simbolico e fattuale, di una strategia ventennale di annientamento per via giudiziaria del principale leader politico italiano. Una strategia pervicacemente perseguita da gruppuscoli, quantitativamente minoritari ma ben insediati nei gangli decisionali del potere mediatico-giudiziario, che hanno dichiarato guerra al leader politico che nel ’94 osò sbaragliare in pochi mesi la gioiosa macchina da guerra del Pci-Pds e impedire alla sinistra una lunga stagione di egemonia. Un manipolo di procure politicizzate che non hanno lesinato decine di inchieste, fiumi di intercettazioni, forzature processuali di ogni genere pur di ottenere quel risultato che la sinistra politica non é riuscita a raggiungere nelle urne.
L’anomalia tutta italiana di una magistratura divisa per correnti politiche, in cui quella maggioritaria (Magistratura democratica) ha tra le proprie finalità non già l’applicazione della legge (compito precipuo di ogni funzionario dello Stato che vince un concorso in magistratura) ma la modificazione dell’ordine sociale in nome dell’uguaglianza e del progresso. La prassi intollerabile di magistrati che, pochi secondi dopo aver posato la toga, si candidano alle elezioni contro quelle forze politiche che hanno perseguito con le loro inchieste. La miopia unidirezionale che porta sempre a un occhio di clemenza verso chi nella sinistra viene pescato con le mani nella marmellata.. da Primo Greganti, passando per Unipol e Penati, fino al Montepaschi aleggia sempre un fastidioso senso di impunità per i vertici della sinistra, unici per i quali non vale mai il “non poteva non sapere”. L’abuso della carcerazione preventiva, l’uso dissennato delle intercettazioni e la loro pubblicazione senza remore. Le conseguenze che tutti questi fattori combinati hanno sulla vita pubblica del Paese, in un evidente sbilanciamento tra i poteri dello Stato.
Questo elenco, financo parziale, dei grandi problemi irrisolti della giustizia italiana nel suo rapporto con la politica, rappresenta allo stesso tempo un duro atto d’accusa (e di autocritica) per lo stesso Berlusconi e per l’intero centrodestra, incapace in questi anni di mettere mano compiutamente a una riforma integrale più volte annunciata e di vincere resistenze interne ed esterne. La condanna di Berlusconi aprirà finalmente la strada, come lascia intendere Napolitano e come chiede scompostamente il PdL in queste ore, alla riforma della giustizia? Francamente non credo che ció potrá avvenire, almeno fin tanto che la sinistra italiana non sarà stata capace di affrancarsi dalla tutela e dall’ingerenza del partito di Repubblica e delle Procure politicizzate. E ció probabilmente non avverrà almeno fino a quando non saranno stati in grado di garantirsi nelle urne un lungo periodo di egemonia, come quello che Berlusconi ha impedito loro di avviare il 27 marzo 1994. Il nostro compito é oggi più che mai ricostruire il centrodestra, o più schematicamente una Destra, capace di impedirlo e di portare la nazione fuori dalle secche del declino morale, sociale ed economico. Stavolta non ci sará un nuovo Berlusconi (nemmeno al femminile), un nuovo “miracolo italiano”. Servirà il lavoro incessante di una classe dirigente rinnovata, rigorosa, credibile.