In un’immagine efficace quanto volgare, i creatori del geniale e satirico South Park indicavano – qualche presidenziale fa – come le elezioni americane fossero divenute la scelta tra uno stronzo e un cretino (le espressioni originali erano addirittura più colorite). Questa sintesi triviale sembra particolarmente adatta all’imminente tornata elettorale statunitense e nell’esprimere un sentimento antipolitico sempre più diffuso, rende manifesto l’equivoco che accompagna la democrazia rappresentativa: in essa il popolo non è davvero chiamato a decidere o a governare, ma (solo) ad aderire a una tra due o più proposte (preconfezionate). Se quindi la democrazia è tanto più autentica e piena quanto più è permesso al cittadino di partecipare alla definizione di queste proposte alternative, ormai già il diritto di voto secondo qualcuno è troppo: basti pensare a quei critici della Brexit secondo i quali occorreva essere economisti per potersi esprimere a riguardo.
Mai come nel caso delle imminenti presidenziali statunitensi, tuttavia, uno dei due candidati è stato “imposto” proprio dalla gente, dalla base. Tramite le primarie l’establishment del partito repubblicano ha lottato come ha potuto (male) contro la nomination di Trump, ma ha fallito e perso il voto popolare.
In questo senso, si è già notato, Trump è ultra-democratico: la dimostrazione che le primarie non sono pilotate, secondo qualcuno. E che però non funzionano, secondo qualcun altro. Il risultato quindi della democrazia diretta è peggio di quello di una oligarchia tecnocratica?
Un laboratorio di democrazia diretta in Italia esisterebbe ed è evidentemente quello del Movimento Cinque Stelle. La forma del Movimento è però ancora molto incerta e specialmente molto chiusa; le regole di democrazia diretta esistono solo per le decisioni da prendere all’interno del (non)partito, valevoli solo per gli iscritti e più volte in verità proprio da alcuni di questi pesantemente criticate. Un laboratorio allora più affidabile è la rete “aperta”: esistono infatti, perlopiù a fini commerciali o nei giornali online, innumerevoli esempi di sondaggi e forme partecipative aperte a tutti gli utenti di internet, tramite le quali con varie modalità esprimere un’opinione o prendere una decisione. Ma la caratteristica più evidente della media di questi esperimenti sembra essere l’inaffidabilità e la non serietà.
Questo significa che la democrazia diretta non funziona? No, perché questa non è in realtà democrazia diretta. La democrazia, diretta o rappresentativa che sia, richiede un lavoro di preparazione culturale e di coscienza delle circostanze che oggi manca sempre più. Un lavoro che dovrebbe essere la prima responsabilità della politica, oggi però sempre più indebolita nei fatti e nell’opinione pubblica. Il risultato sono cittadini che non si affidano più a quegli strumenti intermedi di elaborazione culturale-politica che gli permetterebbero la minima e indispensabile digestione della realtà, ma preferiscono fast-food politici in cui le risposte sono semplici, brevi e dirette. In questo contesto allora rivolgersi al voto popolare è come fare domande complesse richiedendo risposte a bruciapelo: una situazione nella quale anche un esperto sarebbe in difficoltà. Lo scenario verso cui ci stiamo muovendo, di conseguenza, non è quello di una democrazia diretta, ma quello di un’espressione popolare sempre più estemporanea che potremmo, con certa approssimazione, definire di democrazia immediata.