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Home Europae

EMA 2/ Non è una questione di sfiga. È un problema d’irrilevanza politica

di Massimo Weilbacher
25 Novembre 2017
in Europae, Home
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EMA 2/ Non è una questione di sfiga. È un problema d’irrilevanza politica
       

L’inverosimile narrazione alla quale siamo sottoposti da parte di media e giornaloni asserviti, opinionisti d’ordinanza e da tutta quella varia umanità che bazzica tra oligarchie economiche e sottobosco politico- intellettuale ha oramai raggiunto livelli grotteschi.

Le scalcinate elite italiote, convinte di poter guidare una nazione problematica come l’Italia come se fosse un gregge di pecore, dimostrano di avere un contatto con la realtà pari a quello che ha con la scienza quel tizio, tale Mark Hughes, che in California ha costruito un razzo a vapore (praticamente una specie di pentola a pressione gigante) cavalcando il quale crede di poter provare che la terra è piatta.

Impresa sicuramente problematica, ma non quanto dimostrare che il governo Gentiloni è vivo e lotta insieme a noi e/o che Renzi è in grado di rifondare la sinistra e “salvare” il paese.

Prendiamo l’ultimo clamoroso caso di fallimento governativo, cioè la beffa dell’EMA finita ad Amsterdam invece che a Milano.

La narrazione insulsa e superficiale di questi giorni ci racconta che il problema sarebbe stato un sorteggio sfortunato, ma accettare questa sciocchezza significa solo concedere un favore proprio ai maggiori responsabili della beffa.

Non a caso è il cavallo di battaglia di Enzo Moavero Milanesi – già inutile ministro per gli Affari Europei dei pessimi governi di Mario Monti ed Enrico Letta che Gentiloni aveva nominato, nel tripudio generale, suo consigliere per gestire la faccenda – secondo il quale “I meriti della candidatura di Milano sono stati riconosciuti fino alla fine da un numero elevato di Stati dell’Unione, rispecchiato dall’andamento dei tre turni di votazione. Ci ha piegati la ‘dea bendata’, non il merito”.

La sfortuna dei bussolotti è una scusa comoda per tutti e buona per tutte le stagioni ma i motivi della beffa sono ben altri e stanno a monte.

Per mesi i media ci hanno propinato una edificante ed irreale storiella secondo la quale era tutto a posto con i giochi praticamente fatti per Milano.

In qualche salotto radical chic della città già si beatificava il sindaco Beppe Sala che “ci ha portato l’EMA a Milano [testuale]”.

“EMA missione riuscita a Cipro. Cultura e affari spingono Milano”; “Lorenzin: ogni volta che facciamo sistema si vince” “Lorenzin e Sala: Milano più forte” “A Milano vince il gioco di squadra”, sono solo alcuni dei molti illusori titoloni che ci hanno bombardato negli ultimi mesi, sino al grottesco “Missione decisiva a Bruxelles Il voto tedesco può aiutare Milano” comparso il 26 settembre sul Corriere della Sera.

Per non parlare della stralunata teoria secondo la quale Milano avrebbe dovuto essere favorita perché “è stata un modello riconosciuto in Europa per una questione centrale: la gestione dei migranti, avvenuta correttamente, umanamente da parte dei nostri amministratori pubblici (nonostante gli strepiti, senza domani e senza visione globale, del centrodestra)” come aveva scritto (seguito anche da altri commentatori) Piero Colaprico su Repubblica, a conferma del fatto che il mondo buonista vive in uno stato di perenne allucinazione che deforma fatti e situazioni.

Naturalmente l’impatto con la realtà, ben lontana dalle favolette che venivano raccontate, ha sgretolato di colpo tutte le illusioni.

Nessuno era disponibile a dare credito o a fare favori ad un governo delegittimato e a fine corsa la cui precarietà ed incompetenza in Europa sono ben note a tutti e con il quale nessuno ha interesse a negoziare niente.

Ma questo, ovviamente non si poteva né dire né scrivere.

La Germania non era mai stata favorevole alla candidatura di Milano perché appoggiava i suoi scudieri olandesi, la Spagna seguiva la Germania e la Francia, che puntava all’agenzia di controllo del sistema bancario EBA da sfilare proprio ai tedeschi, andava come sempre per i fatti suoi.

Qui però nessuno se ne era accorto.

Quando la partita è entrata nella fase decisiva il ministro degli esteri era occupato in Sicilia, preoccupato più della sua sopravvivenza politica e della tenuta della sua rete clientelare che dell’interesse nazionale (vero è che Alfano non potrebbe fare la differenza nemmeno alle elezioni di una bocciofila ma era pur sempre il ministro in carica).

L’ectoplasma Gentiloni non si è schiodato dalle beghe romane e il dossier è finito così nelle mani dell’altezzoso e saccente sottosegretario Sandro Gozi.

Gozi è un papavero di medio calibro del PD, nel cui curriculum compaiono incarichi come “consigliere diplomatico del Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola” o “membro del comitato elettorale campagna elezioni politiche di Romano Prodi”.

Spedirlo a negoziare per l’EMA è stato un errore grossolano, figlio del solito dilettantismo governativo: la carica di sottosegretario delegato agli affari europei, sul piano protocollare, significa meno di niente. In ambito diplomatico le trattative avvengono tra pari livello: i ministri parlano coi ministri e i capi di governo con i capi di governo, ma nessuno di questi parlerebbe mai con un sottosegretario marginale che non ha poteri e non può impegnare niente e nessuno.

Al momento decisivo l’Italia si è quindi ritrovata come nel famoso aforisma di Fortebraccio: si aprì la porta della stanza delle decisioni europee e non entrò nessuno. Era il sottosegretario Gozi.

Inutile dire che in queste condizioni di fronte al blocco di interessi coagulato, in un modo o nell’altro, intorno alla Germania c’è stato poco da fare: l’appoggio di Bulgaria, Romania, Grecia, Slovenia, Malta, Cipro e Croazia Portogallo, Repubblica Ceca, Estonia non è bastato.

La candidatura di Amsterdam era tecnicamente molto più debole di quella di Milano: la sede è ancora da costruire, non ci sono capacità adeguate per accogliere l’indotto e non esiste tradizione di industria farmaceutica, ma è stata gestita in modo molto più serio ed efficace sia a livello politico che pratico (basta dare un’occhiata alla ridicola brochure milanese e confrontarla con quella di Amsterdam) ottenendo il massimo risultato possibile.

Se con una candidatura forte come quella di Milano si è arrivati a lanciare la monetina significa che sul piano internazionale siamo come il due di picche con briscola a fiori, cioè contiamo meno di niente.

Naturalmente anche l’incapace sottosegretario Gozi, come il consulente Moavero, si nasconde dietro al dito della sorte: “non abbiamo perso perché eravamo in minoranza, in debito di influenza o perché tecnicamente il nostro progetto non era valido, ma perché dall’urna è uscita la pallina con il nome di Amsterdam” è la banale spiegazione dei fatti, con la quale scarica ogni responsabilità sul solito destino cinico e baro.

Gozi, aggiunge poi che “Milano esce benissimo da questa partita, confermando di essere una grande realtà europea e mondiale come già dimostrato con Expo2015. La maggioranza dei Paesi europei ha riconosciuto la qualità e la forza della nostra candidatura”, affermazione alquanto surreale che ci ricorda quella famosa scenetta dove Totò racconta all’amico di avere preso un sacco di botte da uno sconosciuto che lo aveva scambiato per un certo Pasquale.

“Ma tu non gli hai detto niente?”, gli fa l’amico. “E perchè, mica mi chiamo Pasquale io!”

In realtà, checchè ne dicano i dilettanti allo sbaraglio del governicchio Gentiloni-Renzi, da questa faccenda usciamo male tutti: Milano, l’Italia e l’interesse nazionale ancora una volta abbandonato al suo destino per incapacità e mediocrità.

Per capire come vanno le cose basta dare un’occhiata alla distribuzione delle strutture europee, che costano 1,2 miliardi di euro/anno, pari allo 0.8 per cento del budget europeo del quale l’Italia, con circa 15 miliardi/anno è il terzo contribuente.

A Bruxelles, che già ospita Parlamento e Commissione, ce ne sono 9; il minuscolo Lussemburgo ospita l’Agenzia esecutiva per i consumatori, la salute e la sicurezza alimentare (CHAFEA), l’Agenzia di approvvigionamento di EURATOM (ESA), la Banca Europea di Investimenti e la Corte Europea di Giustizia; in Olanda l’EMA si aggiungerà ad Europol e Eurojust (le agenzie per la collaborazione tra le forze di polizia e la cooperazione giudiziaria).

In Francia le agenzie sono ora 5, tutte di peso: l’ESMA, che regola il mercato borsistico, l’EBA che fissa le regole bancarie, l’Agenzia Spaziale Europea, quella per le Ferrovie e l’Istituto per gli studi sulla sicurezza (EUISS). Oltre al Parlamento Europeo a Strasburgo.

In Spagna, oramai membro di complemento del blocco nordico-tedesco, non a caso di strutture europee ce ne sono ben 5: l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), l’Agenzia per la Pesca, quella per la sicurezza sul lavoro, il Centro Satellitare Europeo e l’Impresa comune europea per il progetto ITER e lo sviluppo dell’energia da fusione.

All’Italia di tutto questo sino ad ora sono arrivate solo le briciole: l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) a Parma, per la quale va dato atto a Berlusconi di avere agito all’epoca in modo molto serio ed efficace, e due organismi secondari come la Fondazione europea per la formazione (ETF) con sede a Torino e il centro di ricerche di Ispra (VA).

Sicuri che ci sia solo un problema di sorteggio?

Tags: EMAEnzo Moavero MilanesiMilanoPaolo GentiloniUnione Europea
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