L’aforisma giuridico “summum ius summa iniuria” risale a Cicerone e nella versione anteriore a Terenzio “ius summum saepe est malizia”, vanno naturalmente ed ovviamente utilizzati e richiamati per la sentenza emessa dal Tribunale di Milano. Dopo 72 udienze in quasi 3 anni di processo sulle indagini avviate su Eni e Shell non è che i vertici dei due colossi italiano ed olandese abbiano “non commesso” la corruzione internazionale, per i togati meneghini è che proprio “non sussiste” questa tangente gigantesca per la licenza petrolifera Opl 245. E “non sussiste” non perché la prova appaia ai giudici “insufficiente o contraddittoria” ma proprio nel merito di una assoluzione piene ed inequivocabile.
L’idea di giustizia della procura, comunque e sempre targata con una pesante lettura “rossa” – ha osservato “La Stampa” – sull’operato di aziende di punta italiane in mercati esteri è stata in precedenza sconfessata dalla Cassazione sulle accuse a Finmeccanica-Agusta di tangenti in India. Chiunque sia costretto ad attendere “dieci o più anni per un’assoluzione”, può reclamare di aver subito “una mostruosità”. Da “Il Giornale” è stata posta in risalto la mancanza dei riscontri. Dopo i novanta giorni previsti per il deposito delle motivazioni, la Procura valuterà eventuali ulteriori passi, decisione che sembrerebbe per l’infinito tempo trascorso incredibile.
Confesso di aver seguito la vicenda su un tema, “per li rami” legate a Enrico Mattei, il partigiano, sostenitore delle correnti della sinistra democristiana più accanita, di cui era espressione il quotidiano “Il Giorno”. Mio padre acquistava ogni giorno “Il Tempo”, ondivago nel periodo preelettorale, e l’assai più rettilineo “Giornale d’Italia”. Nel secondo scriveva, non dico feroci, ma severi, “fondi “con il politico marchigiano, don Luigi Sturzo, che io leggevo con interesse e attenzione.
Molti decenni sono trascorsi da allora, ma non ho problemi nel riconoscere che nella vicenda ad uscirne, con riacquistata limpidezza, sia la società del Cane a sei zampe mentre ad accumulare ulteriore discredito sia la magistratura, tanto eloquentemente descritta da un suo qualificato rappresentante, per “il traballante castello d’accuse”.