Nel generale disinteresse dell’opinione pubblica internazionale si torna a combattere in Tigrè, regione dell’Etiopia che dall’autunno del 2020 ha spostato la propria battaglia per l’indipendenza dal campo politico a quello militare. Nei primi giorni di ottobre le truppe eritree – Asmara è alleata del governo federale etiope, vecchie ruggini di confine e tribali avvelenano i rapporti tra eritrei e tigrini – hanno lanciato una vera e propria offensiva nelle regioni occidentali del Tigrè, penetrando per circa cinquanta chilometri oltre il confine.
Stando alle poche notizie che arrivano dal Corno d’Africa il governo eritreo avrebbe proclamato la mobilitazione generale, chiamando alle armi tutti gli uomini abili sotto i 55 anni. All’attacco di inizio ottobre avrebbero preso parte anche truppe etiopi appositamente trasferite in Eritrea. L’offensiva eritrea da nord-ovest arriva dopo settimane di crescenti combattimenti. La tregua – sempre fragile – che ha visto il tentativo di mediazione statunitense è definitivamente saltata ai primi di settembre, quando l’artiglieria e l’aviazione etiopi hanno duramente colpito diverse località del Tigrè, bersagliando in alcuni casi anche scuole e centri per i rifugiati.
A spingere per una soluzione militare della crisi il presidente etiope Abiy, convinto di poter piegare la resistenza tigrina anche grazie al potenziamento della propria forza aerea: Turchia, Cina ed Emirati Arabi, infatti, hanno rifornito Addis Abeba di droni armati contro cui i tigrini non hanno praticamente difesa. Già nello scorso mese di novembre, del resto, i droni giocarono un ruolo fondamentale nel bloccare l’offensiva tigrina giunta a minacciare la capitale etiope. A dispetto della schiacciante inferiorità nell’aria, le milizie tigrine restano tuttavia una forza temibile sul terreno: nel mese di settembre hanno inflitto una dura sconfitta all’esercito etiope nella città di Kobo, catturando un ricco bottino di armi.
Il conflitto in Tigrè ha già provocato circa 500mila morti tra la popolazione tigrina, colpita non solo dai bombardamenti, ma anche dalla carestia prodotta dal blocco cui la regione secessionista è stata sottoposta. Come tante altre guerre dimenticate del continente africano, quella che si sta combattendo nel Corno d’Africa non rientra nell’attenzione delle cancellerie europee, già solitamente poco attente all’Africa subsahariana ed ora alle prese con il conflitto in Ucraina.
Tra i più distratti c’è proprio Roma, ex potenza coloniale della regione che pure nel dopoguerra, con grande impegno ed abilità, era riuscita a mantenere per decenni solidi legami con le nazioni del Corno d’Africa. C’è poco da sorprendersi se l’Italia sia stata di fatto completamente soppiantata dalla Turchia nella regione.
Nella foto: L’area teatro dell’offensiva eritrea.
G. Gaiani/ L’Occidente è sempre più stanco della guerra
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