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Eugenio Di Rienzo/ L’unica soluzione alla guerra è il realismo politico

di Redazione
24 Marzo 2022
in Rassegna Stampa
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Eugenio Di Rienzo/ L’unica soluzione alla guerra è il realismo politico
       

Lo storico della Sapienza interviene sulla crisi dell’Europa orientale: a livello morale l’aggressione è sbagliata. Ma occorre un negoziato per uscire dalla guerra, che non è la guerra di Putin ma ha ragioni profonde nell’immaginario russo… Dove c’è guerra c’è propaganda. E la propaganda – in cui il vero si mescola al verosimile e al falso – è spesso gara a chi la spara più grossa. Da questo punto di vista, il conflitto tra Russia e Ucraina è un caso da manuale. Con una eccezione non proprio secondaria: per buona parte delle operazioni militari, abbiamo sentito in prevalenza la campana ucraina perché, salve poche voci fuori dal coro, la maggior parte dei media si sono schierati con Zelensky. E gli addetti ai lavori veri, cioè analisti, esperti di cose militari e studiosi? A differenza dei giornalisti, invitano alla prudenza. Lo fa anche Eugenio Di Rienzo, professore di Storia moderna alla Sapienza di Roma e direttore della Nuova Rivista Storica.

Alla crisi ucraina Di Rienzo ha dedicato Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo (dis)ordine mondiale, un saggio interessante e documentatissimo uscito per Rubbettino nel 2015.

«A livello morale è doveroso riprovare l’aggressione russa», spiega Di Rienzo, che aggiunge: «Lo scontro in atto è una guerra civile (la peggiore di tutte le guerre), tra due popoli legati da vincoli storici, linguistici, culturali, politici, religiosi, una guerra ai civili, combattuta con le armi dell’esodo forzato di massa, dell’affamamento, dell’assetamento e del moral bombing, come sono stati tutti i conflitti successivi alla Guerra di Spagna, dal secondo conflitto mondiale a quelli che hanno imperversato in Vietnam, Libano, Palestina, Bosnia, Serbia, Afghanistan, Iraq, Yemen, Caucaso, Kurdistan, Donbass. E l’Ucraina è tornata al suo antico status di Bloodland – per citare il magistrale saggio di Timothy David Snyder, edito nell’ottobre 2010 – travolta dall’invasione mongolica scatenata da Mosca». Tuttavia, prosegue Di Rienzo, «dopo quasi un mese di combattimenti, limitarsi alle accuse e alle condanne è improduttivo. Semmai, è importante analizzare quel che sta succedendo per indicare soluzioni e cercare vie d’uscita».

Certo. Ma quest’atteggiamento non può sembrare un cedimento alle ragioni dell’aggressore?

Tutt’altro. Io credo che il racconto corretto di questa guerra sia importante per fornire ai cittadini dei punti di vista consapevoli. Dalle guerre, soprattutto da guerre come questa, si esce con un accordo diplomatico e usando molto realismo politico. Solo così si aiuta il popolo ucraino, che sopporta il peso terribile di un conflitto sul proprio territorio, con tutti gli orrori che ne derivano, ed è la vera vittima.

Le opposte propagande, russa e ucraina, alterano non poco la percezione degli avvenimenti. Secondo lei, chi la spara più grossa in questo momento?

Da che mondo è mondo, alla guerra delle armi si accompagna quella delle parole. Di sicuro anche la comunicazione del governo ucraino è piena di esagerazioni.

Quali?

Ne indico due, che mi sembrano le più vistose: quella secondo cui l’esercito russo sarebbe allo stremo e quella secondo cui sarebbe in preparazione un colpo di mano contro Putin.

Partiamo dalla prima. Sono davvero conciati così male i russi?

Di sicuro non hanno fatto una bella figura. Hanno subito dei rallentamenti notevoli, soprattutto per motivi logistici, e stentano a prendere il controllo dei territori. Dietro questa prestazione militare non brillante ci sono senz’altro degli errori di valutazione, nei quali hanno avuto un peso le informazioni scorrette dell’intelligence russa. Il risultato è che la Federazione ha mosso guerra con una mano legata dietro la schiena per oltre dieci giorni.

Tradotto in parole povere?

Molti analisti hanno già messo in evidenza che lo stato maggiore russo prevedeva che l’esercito ucraino non avrebbe praticamente combattuto e che i suoi soldati sarebbero stati accolti come liberatori. Invece, i militari russi hanno dovuto affrontare una resistenza accanita e subire perdite impreviste.

Possibile che Putin – e, prima di lui, i suoi servizi segreti – siano incorsi in un errore di valutazione così marchiano?

La storia militare è piena di errori del genere. A voler tracciare un parallelo, viene alla mente l’invasione italiana della Grecia durante la Seconda Guerra Mondiale. Allora Mussolini inviò solo tre divisioni, rispetto alle nove previste dai vertici militari, perché convinto da Ciano che i generali greci si sarebbero arresi praticamente senza combattere. Quest’errore iniziale trasformò quella campagna in un disastro.

Infatti, i russi prevedevano, ad esempio, che Kharkov sarebbe caduta praticamente subito…

Già. Anche sulla base di una forte presenza di russofoni nella popolazione di questa importante città. Evidentemente, qualcosa dev’essere cambiato dal 2014 ad oggi.

Ma il fatto che la Russia abbia intensificato gli attacchi prova che l’esercito non è allo stremo. O no?

Certo. Ma questa escalation è la conseguenza di una campagna militare iniziata in maniera non proprio brillante, con mezzi inadeguati e un uso iniziale dell’arma area non proprio intenso. Si pensi solo che le razioni di cibo e i rifornimenti di carburante inizialmente previsti coprivano solo sette giorni di operazioni…

Veniamo alla seconda esagerazione ucraina: il logoramento dell’esercito russo può mettere a repentaglio la posizione di Putin?

Il dissenso c’è ed è aumentato. Tuttavia è ancora marginale: non confondiamo le élite occidentalizzate delle grandi città come Mosca e San Pietroburgo con il cuore profondo della Russia.

Che batte per Putin?

Non esageriamo. Anzi, è esagerato dire che questa sia la guerra di Putin. È una guerra della Russia, perché coinvolge l’immaginario e le paure di questo Paese.

Ovvero?

La Russia è una Nazione dotata di grande patriottismo e di una forte memoria storica. Non scordiamo che l’Urss fu l’unico Paese che arrestò l’Asse sul proprio territorio pagando il prezzo enorme di venti milioni di morti.

Cosa deriva da questo mix di patriottismo e memoria?

Soprattutto l’ansia da accerchiamento, che i russi provarono dopo il 1918.

E l’Ucraina che c’entra?

Basti citare un’espressione dello Stato maggiore del Secondo Reich tedesco, che impose il riconoscimento della Repubblica ucraina alla Russia proprio nel 1918, secondo cui l’Ucraina era il coltello puntato alla gola della Russia. La stessa situazione si ripeté dopo il 1941, quando l’Ucraina divenne uno Stato fantoccio della Germania nazista.

È plausibile che un certo immaginario russo trovi un parallelismo con l’allargamento della Nato ad Est, comprensivo dell’Ucraina?

Certo.

Quindi Putin è, per così dire, l’interprete di questa ansia di accerchiamento. Viceversa, Zelensky è l’interprete di certa russofobia ucraina?

Sì anche perché gli Ucraini non hanno dimenticato la tragedia dell’Holodomor (lo sterminio per fame voluto da Stalin tra 1932 e 1933). C’è da dire, però, che Zelensky è riuscito a galvanizzare con molto coraggio e determinazione un forte patriottismo nel suo Paese, che ha reagito in maniera fiera e determinata all’invasione.

Per tirare le somme: al momento Putin dorme ancora tranquillo. Tuttavia, il protrarsi della guerra (e delle sanzioni occidentali) potrebbe logorare non poco il presidente russo. La stessa cosa non può valere per Zelensky?

Premesso che uno come Putin non dorme mai tranquillo, l’escalation militare finirà per logorare entrambi i contendenti. La Russia, innanzitutto, perché è un Paese sostanzialmente povero che ha una sola vera arma: l’arsenale militare. Quindi lo sforzo bellico, unito alle sanzioni, ne deprimerà il Pil, che è di poco superiore a quello della Spagna e inferiore di un terzo a quello dell’Italia. Se lo si rapporta al territorio della Federazione, che è immenso, e alla sua popolazione, di circa 144 milioni di abitanti, è davvero modesto. Per quel che riguarda Zelensky il discorso è più articolato. Al momento, il presidente ucraino ha raggiunto una popolarità enorme. Tuttavia, i costi umani e materiali della guerra, pagati pesantemente dai civili, potrebbero diventare un boomerang. Considerato che l’intervento diretto dell’Occidente è improbabile, i russi prima o poi la spunteranno e non credo che, di fronte a condizioni di pace pesanti e allo spettacolo di un Paese ridotto in macerie, la popolarità del presidente ucraino resterà ancora alta.

C’è da dire che l’atteggiamento della leadership ucraina non è proprio quello di chi cerca la pace. Di più: la vicepremier Iryna Vereshchuk sembra gettare la classica benzina sul fuoco…

In questa situazione, la pace può essere raggiunta solo tramite un accordo credibile, che garantisca la dignità agli aggrediti e, allo stesso tempo, soddisfi alcune pretese della controparte: non è credibile che i russi rinuncino alla Crimea o cessino di sostenere le richieste del Donbass. O peggio, cedano i territori rivendicati e presi con costi elevati. Di sicuro criminalizzare il nemico, prima di avviare un negoziato, non aiuta, anche se la controparte è indubbiamente un Paese aggressore.

A proposito di criminalizzazioni: c’è chi fa paragoni tra Putin e Hitler. E i russi, dal canto loro, non risparmiano accuse di nazismo agli ucraini…

L’antifascismo resta sempre una componente culturale forte negli ex Paesi sovietici, che comunque si sono ritagliati un ruolo importante proprio contro il nazismo. Ciò non toglie che certe suggestioni restino. Ad esempio, nella dottrina “panrussa”, di cui Putin si è fatto portavoce a più riprese. Stesso discorso per l’immaginario nazionale ucraino, in cui mantiene un certo peso la figura di Stepan Bandera.

A livello internazionale, quanti rischi ci sono che il conflitto ucraino, sinora solo regionale, possa tracimare?

Questo dipende solo dall’Occidente e dalla sua capacità di mediare. Finora, a mio avviso, ha ragione Prodi quando afferma che abbiamo fatto un errore micidiale, che ha gettato la Russia tra le braccia della Cina. D’altronde, alcune lamentele russe non sono un’invenzione di Putin: ricordiamoci che, a suo tempo, anche Eltsin protestò per l’allargamento della Nato a est, prima alle repubbliche baltiche e poi alla Polonia.

Secondo lo Statuto della Nato l’Ucraina non sarebbe un Paese idoneo a entrare nell’Alleanza, proprio per via del contenzioso territoriale di Crimea e Donbass.

Se per questo, non sarebbe neppure idonea come Paese Ue, poiché era considerato uno Stato fallito già all’inizio del conflitto. E poi non è detto che gli converrebbe l’ingresso nell’Unione Europea: si pensi, per fare un paragone, a ciò che è successo alla Grecia.

E all’Occidente non converrebbe farsi carico della complessità ucraina.

Non è una questione di convenienza, ma di doveri morali. L’Occidente e l’Unione Europea devono senz’altro agire a livello umanitario, per lenire le sofferenze della popolazione, che purtroppo subisce anche i contraccolpi del classico conflitto alla slava.

Che significa conflitto alla slava?

Significa soprattutto conflitto contro la popolazione civile del Paese invaso, che viene costretta a un esodo forzato per essere sostituita dalla popolazione del vincitore. Come è accaduto dopo le Guerre balcaniche, dopo il primo e secondo conflitto mondiale, dopo la disgregazione della Jugoslavia. 

E gli altri doveri dell’Unione Europea?

Mediare in tutti i modi per riportare la pace. Lo dobbiamo a tutti i civili inermi, che sono le prime vittime e i primi sconfitti delle guerre. Lo dobbiamo fare anche per un altro motivo: con enormi difficoltà, forse potremo fare a meno del gas, del petrolio, del grano russi, ma non potremo mai fare a meno della cultura russa, dell’anima russa che è parte integrante della cultura europea.

(di Saverio Paletta, 21 marzo 2022 «L’IndYgesto»)

Tags: Eugenio Di RienzoguerreRussiaUcraina
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