Chi non ha mai visto almeno una volta i paesini di pescatori che da Bilbao, verso il confine francese che si affacciano sulla costa del golfo di Biscaglia come Zarautz, sicuramente ha perso l’opportunità di visitare una meta ambita del turismo europeo. Una meta, nell’apparente spassosità di una terra e della sua gente, chiamata in basco Euskal Herria (terra di coloro parlano il basco), nota al grande circuito delle folle turistiche: quando se ne ricordano e quando smetteranno definitivamente di confondere una “Fiesta” di diversa natura con le vicissitudini dei personaggi del celebre libro di E. Hemingway, con Euskadi; nome che in se apre uno spiraglio e sospinge un piede in una soglia, l’autonomia di una Nazione e delle sue rivendicazioni, alcune di esse tutte da esaminare. Alle prese con la fase inversa e le infelici sperimentazione dell’assalto culturale del governo di Madrid, andate in fallimento.
Uscire dal difficile processo di proletarizazzione delle istanze basche e unirne disordinatamente elementi riconoscibili al movimento izquierda abertzale (la sinistra patriottarda) e all’ONG Herrira, promotrice da molti anni delle campagne per il rimpatrio dei prigionieri politici baschi, potrebbe indurre qualsiasi appassionato della politica europea a dimenticare una via d’uscita. La facilità con cui si riesce ad immettere dei “talenti politici” nel variegato scenario della politica basca a supporto delle legittimazioni di quella che, secondo le evoluzioni dell’internazionalizzazione dei problemi di Euskadi, stanziatasi da tempo nei particolarismi locali, dovrebbe volontariamente essere indicata come la destra (?) spagnola di Mariano Rajoy. Piccoli abbagli ? Semplicemente una cavalcata impropria dei nipoti di Lenin, seguendo l’onda lunga della «nazione europea Euskadi», prima e dopo le elezioni regionali in Galizia e Paesi Baschi dello scorso 21 ottobre 2012, rimanendone sommersi.
In pratica, come legittimare il sovra apparato spagnolo con tutte le prerogative che ne comporta, oggettivamente di Destra, da intendere nell’eccezione del termine ante e post scandalo Bàrcenas e dei presunti fondi illeciti al Partito Popolare spagnolo: borghese, liberale, dall’interventismo statale a espressione di una preferenza idonea alle banche, delle cordate industriali, economiche e finanziarie estere, da congiungere “abilmente” ad una realtà geografica e culturale ben determinata dopo le elezioni del 2012. Quindi, l’utilità di un’espressione comunicativa in cui il Partito Popolare di Mariano Rajoy, mantenendo ben saldo il controllo della Galizia è dunque paragonabile al Partito nazionalista basco (Pnv) guidato da Íñigo Urkullu, evidenziandone al contempo una netta distinzione con la coalizione separatista di centrosinistra Euskal Herria Bildu (EH Bildu).
Come abbiamo visto, quando occorre è utile stravolgere l’assetto e il risultato postumo dovuto a regolari elezioni, delle rimostranze e della causa di indipendenza, dell’autonomia e dell’autodeterminazione di un popolo, ecco, giungere inaspettatamente quel “veicolo o strumento del pensiero o del pensare” grigio e saccente che, neppure d’innanzi all’attuale cessate il fuoco dell’Eta, placa la sua sete per mezzo del solito dogma frazionista (individuale); ingrandendo fessure profonde in cui far convergere le scorie inconsistenti e tutti i rancori. Differenziandone verosimilmente ma intenzionalmente l’ambito politico del territorio basco diviso tra Francia e Spagna, e, dividendone secondo l’etimologia personalistica in voga, le due province. Quelle francesi del Laburdi (Labourd), della Bassa Navarra e di Zuberoa, ridotte a semplici comparse prive di ogni autonomia in suolo francese, dal “comprovato riconoscimento” della tipicità basca attraverso il finanziamento statale dell’insegnamento della lingua euskera. Bastone e carota ? Nelle tre province basche spagnole invece, Biscaglia, Guipuzkoa e Araba, che costituiscono la Comunità Autonoma Basca (Cav), secondo la nuova faccia dei damerini dell’internazionale da Ordem e Regresso, l’originalità della lingua basca e della sua tradizione in prevalenza orale, dovrebbe essere soggetta per le sue inclinazioni legate al luogo, ad un probabile abbandono della lingua autoctona, rimpiazzata dalla riscoperta di una più consona pluralità di un linguaggio convenzionale. Flatulenze di una collettività a lungo indicizzata e numeri che non passano in sordina ?
Nella Regione a statuto speciale i conti tornano senza troppi notabili a cui tener conto. Il PIL procapite dell’annata 2012 ha superato i 30 mila euro e il tasso di disoccupazione nello stesso anno è del 14,6%, dieci punti in meno della media spagnola. Una comunità che contribuisce per oltre il 6% al PIL del governo centrale di Madrid con la politica di riorganizzazione industriale che ha favorito la nascita di una serie di poli tecnologici di importanza strategica per lo sviluppo economico della regione che nel 1997, grazie ad una intuizione del governo basco che avviò il “Network Basco per la Scienza, la Tecnologia e l’Innovazione”, indifferente alle ventate comunitarie di Bruxelles e riappropriandosi non solo delle meravigliose spiagge sul mar Cantabrico, pose una pietra miliare, forse l’unica in Europa, da cui si potrebbe anche in Italia risolvere parecchi problemi.
Fare rete. Una rete tra pubblici e privati, destinata a congiungersi nel 2007, nell’Agenzia Basca per l’Innovazione. Quest’ultima è un’organizzazione non profit che ha l’incarico ufficiale di coordinare e dare impulso ai processi di innovazione sociale nella regione. Incoraggiando l’imprenditoria, la media e piccola impresa e la creatività nei settori produttivi e nel sociale. Da annoverare come esempio di autonomia, indipendenza e sinergia: all’interno dell’Agenzia operano congiuntamente insieme membri del “Network Basco per la Scienza, la Tecnologia e l’Innovazione”, imprese private, organismi pubblici e rappresentanti delle organizzazioni sindacali. La giusta coesione sociale tra Stato-Governo e le rappresentanze delle micro e macro località, dagli ottimi risultati. Ed è proprio alla base dell’identificazione di una prospettiva utile ed efficiente, dove possono convergere valide linee guida, promozione della cultura basca, educazione e formazione di eccellenza, inclusione sociale, governativa, imprenditoriale, sviluppo ed innovazione in campo sanitario, finanziamento di ricerca, consolidando la collaborazione tra il livello provinciale e quello comunale, l’incubo dei “Sadhu” spagnoli fotocopie dei ministri Boldrini e Kyenge, telecomandati a debita distanza dalla memoria e dalle dotte assertazioni di Letta, diventa realtà: la strategia fra pubblico e privato.
E allora poco importa se nel 2007 la percentuale del rischio di povertà per la popolazione basca era pari al 14,8% mentre quella europea era superiore al 17%. Poco importa quando l’autonomia che come in questo in caso prende forma dalla volontà di un popolo, unico centro nevralgico politicamente decisionale al di sopra delle convenzionalità sovra nazionali e persino partitiche, (senza dimenticare che il Partito nazionale basco era iscritto al Partito Popolare Europeo sino al 2004 e ne uscì solo per fondare il Partito Democratico Europeo) è possibile scorgere anche se in minima parte una coscienza di identità e di unità ? Meglio una riflessione nel tempo presente da associare alla scarsa resistenza delle economie finanziarie occidentali. Sappiamo che i Paesi Baschi non sono certo indenni dai bilanci internazionali e di certo, per la società basca, prima o poi andranno riletti i parametri migliorativi. Però, nell’includere volontariamente le divisioni prolungate dalle solite appendici del “diritto cosmopolitico” presenti in terra basca e i validi esempi riscontrabili, fermiamoci. Sediamo solo per un attimo in prossimità delle pendici del Monte Igeldo. Dal mare basco e dalla sua terra, giungono anche se fievoli, esalazioni di libertà.