Macron ci ha provato, bisogna riconoscerglielo. E continuerà a tentare un dialogo frustrante e impossibile con Mosca. Fino all’ultimo, rappresenterà la voce più autorevole tra i leaders europei. Piaccia o meno, sia chiaro, lo stile e il profilo dell’inquilino dell’Eliseo. Un protagonismo riconducibile, almeno in parte, agli incombenti impegni elettorali. Nessuno è tanto ingenuo da non cogliere quanto, nel caso francese, politica estera e nazionale siano intrecciate, strettamente connesse. L’onestà intellettuale ci richiede di riconoscerne il merito, pur ammettendo, con vivo rammarico, come quella del Presidente transalpino sia la classica voce predicante in un luogo desertico.
Avrebbe aiutato, e non poco, la presenza di altre figure politiche di un certo rilievo. Angela Merkel su tutte. La pochezza odierna della nostra classe dirigente, europea e non, purtroppo, ci consegna uno spaccato di profonda, e preoccupante, fragilità, unita ad un’arroganza seconda soltanto alla manifesta incapacità dei suoi attori protagonisti. L’arte della diplomazia è stata dimenticata, riposta in un angolo buio dello scantinato della memoria. Una dimenticanza, un pressapochismo dilettantistico, frutto di una colpevole noncuranza, di un’abdicazione dei ruoli, e dei compiti, propri della missione, e del fine più alto, riguardante la politica stessa, cioè la garanzia dei diritti dei popoli e delle nazioni, a salvaguardia degli equilibri imprescindibili per garantire pace, giustizia e libertà.
Putin non mollerà la presa e, difficilmente, si lascerà abbindolare da false promesse o ventilate minacce. Il rischio che il conflitto possa espandersi a macchia d’olio, coinvolgendo i Paesi del Baltico o addentrarsi nei territori dell’Europa centrale, diviene sempre più realistico. I profughi, vittime della follia della guerra, si riverseranno nei Paesi confinanti, determinando un dramma umanitario di spropositate proporzioni, ingestibile dalla Polonia, dall’Ungheria e dalla Romania. Non potremo guardare oltre, limitandoci agli aiuti economici. Saremo tenuti, moralmente e politicamente, a gestire le criticità e a pianificare interventi efficaci. La solidarietà dovrà essere messa per iscritto, nero su bianco, evitando atteggiamenti buonisti e ipocriti. Avremo freddo, lo sentiremo entrare nelle nostre ossa. La dipendenza energetica, conseguenza di miopie decennali, ci costerà tantissimo, ridimensionerà l’ego smisurato di enti sovranazionali tanto costosi quanto inconcludenti.
Si parla molto di pace, si abusa di un termine decisamente complesso e variegato con una leggerezza disarmante. La pace non è il pacifismo, non è un concetto astratto, non è un elenco di regole da applicarsi a qualsiasi situazione, prescindendo dalle condizioni storiche vigenti. La pace è sempre qualcosa di empirico, di dinamico e mai statico. La pace non è uno spazio vuoto tra due conflitti, ma qualcosa da custodire gelosamente e con fatica. Non è da confondersi con un tempo di relativa tranquillità. Non è un obiettivo, una meta da raggiungere, un approdo sicuro. È il cammino stesso, il sentiero da percorrere, il tragitto. Ci siamo cullati per troppo tempo in false illusioni e deleterie convinzioni. È giunto, infine, il momento del risveglio: l’incubo bussa alle nostre porte.