In queste ultime settimane siamo stati letteralmente travolti da articoli, servizi, post, libri – più o meno interessanti – dedicati all’impresa fiumana di Gabriele D’Annunzio e dei suoi legionari. Addirittura si è arrivati ad uno scambio di note diplomatiche con la Croazia per la decisione di collocare in quel di Trieste una statua dedicata al poeta abruzzese, in un clima esasperato dall’audace – e questa sì genuinamente dannunziana – “impresa” della banda degli idraulici. I goliardi patrioti sono riusciti a dispiegare un enorme tricolore sul palazzo che in quel di Fiume d’Italia – Rijeka? Non pervenuta – ospitò la sede della Reggenza del Carnaro.

Insomma, davvero difficile che a qualcuno sia sfuggita la ricorrenza del centenario dell’impresa fiumana. Molta meno attenzione, tuttavia, ha ricevuto uno dei più interessanti frutti di quella esperienza, scaturita tanto dalla visionaria determinazione di Gabriele D’Annunzio, quanto da quello “spirito di trincea” forgiatosi in quattro anni di guerra. Il riferimento è a quella Carta del Carnaro, costituzione della Reggenza, che tante diverse ispirazioni riuscì a far convergere nell’elaborazione di un documento che, senza dubbio, in molti punti necessitava di una robusta dose di labor limae, bensì rispetto alle carte costituzionali del tempo conteneva indicazioni che ancor oggi sono di grande attualità. Depurata dalla retorica dei tempi – di cui il Vate era una delle massime espressioni – la Carta del Carnaro era un testo dirompente nella sua carica innovativa. Non è certamente questa la sede per un’analisi dettagliata della costituzione fiumana, tuttavia qualche spunto sarà sufficiente a dare il segno di questa visione nuova.
Ispirata ad un richiamo costante alla romanità, con chiari riferimenti all’esperienza dell’Italia rinascimentale (anche nella denominazione dei vari organi di governo), ovviamente intrisa di patriottismo – ma non per questo ispiratrice di una comunità ripiegata su se stessa -, la Carta del Carnaro ha nella visione “sociale” dello Stato l’elemento di maggior carica innovativa ed attualità. E se il suffragio universale – per gli uomini e le donne, un traguardo che l’Italia raggiungerà solo nel secondo dopoguerra – è la novità che a prima vista più colpisce chi legge gli articoli della Carta, ad un osservatore più attento non possono sfuggire i passaggi dedicati a quei diritti sociali fino a ieri dati per scontati ed oggi fortemente compressi dalle politiche neoliberiste. A Fiume l’istruzione primaria, il salario minimo, la pensione, “l’assistenza nelle infermità, nella invalitudine, nella disoccupazione involontaria”, sono diritti riconosciuti e garantiti ad ogni cittadino. Così come la proprietà non è riconosciuta “dominio assoluto della persona sopra la cosa”, piuttosto “come la più utile delle funzioni sociali”. E come non ricordare la previsione della Banca Nazionale del Carnaro “vigilata dalla Reggenza” che “ha l’incarico di emettere la carta moneta e di eseguire ogni altra operazione di credito”. Un sovranismo monetario ante litteram.
Impossibile proseguire oltre, in virtù dei limiti di spazio imposti da un semplice articolo. A nessuno, tuttavia, potrà sfuggire, anche da questi rapidi cenni, come la Carta del Carnaro conservi intatta una grande attualità, in particolare per quanti oggi – a destra e non solo – si scoprono o definiscono sovranisti. La costituzione fiumana è un punto da cui, nel 2019, tutto il magmatico mondo della destra italiana non liberista e non ingenuamente trumpista, bensì realmente nazionale, sociale ed europea, dovrebbe e potrebbe ripartire per avviare una riflessione sul proprio futuro. E su quello del Paese. Una riflessione tanto più necessaria in un momento in cui la sinistra – o quel che ne resta – è quasi totalmente schiacciata su posizioni liberaldemocratiche ed i sovranisti – o presunti tali – riescono a mettere insieme nel proprio Pantheon Margaret Thatcher e la dottrina sociale della Chiesa Cattolica