Finalmente il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha parlato chiaro. Con inusuale forza e assoluta chiarezza. Bene. Da queste pagine e poi su “Il Giornale” nei giorni scorsi avevamo auspicato un intervento che ribadisse l’inviolabilità della Giornata del Ricordo minacciata dall’indifferenza di molte istituzioni, dal disinteresse di una parte della Cultura e dai tentativi di riproporre tesi negazioniste o riduzioniste.

Non ci illudiamo di averlo influenzato, ma siamo grati per la sensibilità con cui è intervenuto sull’argomento. Le sue parole pronunciate con 24 d’ore d’anticipo sulla Giornata della Memoria, sono esemplari perché chiariscono dei punti che qualcuno vuole nuovamente rendere controversi o discutibili con l’obbiettivo di mettere in dubbio non solo la verità storica delle Foibe, ma anche la tragedia dell’esodo di istriani, fiumani e dalmati. L’ha impedito e l’ha fatto con fermezza e sostanza. È doveroso, al netto delle distanze politiche, prenderne atto.
Parlando di “grande tragedia italiana” il Presidente ha ricordato a tutti (e proprio tutti…) che i morti delle foibe e i 300 mila e più italiani costretti a fuggire dalle proprie case in Istria, Fiume e Dalmazia non erano rappresentanti di un gruppo o di una fazione politica, ma dei connazionali colpevoli soltanto di esser nati italiani e di volerlo restare. Descrivendo il loro passaggio “dall’oppressione nazista a quella comunista” sottolinea come tra i due “grandi totalitarismi del Novecento” non vi sia differenza.
Una lezione non da poco per quei nostalgici delle bandiere rosse pronti ancora oggi a mettere la sordina ad una pagina della storia patria assai buia e, dal loro punto di vista, anche assai scomoda. Ma apprezziamo soprattutto la chiarezza con cui il Presidente ricorda che “non si trattò, come qualche storico negazionista o riduzionista ha provato a insinuare, di una ritorsione contro i torti del fascismo. Perché tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni”.
Parole importanti visto il tentativo di qualche sezione dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, un’associazione che per statuto dovrebbe condannare il negazionismo, di affidare le rievocazioni del “Giorno del Ricordo” proprio a qualche “storico negazionista o riduzionista”. Le sue parole ora non offrono più alibi. E speriamo offrano ai vertici dell’Anpi lo spunto per una selezione dei propri rappresentanti più in linea con le diversità politiche che contraddistinsero la Resistenza.

Anche perché nelle foibe, come Mattarella fa capire, finirono molti partigiani “bianchi”, monarchici o semplicente apolitici colpevoli solo di voler restare italiani o di non accettare l’ideologia comunista. La tragedia della malga di Porzus — la mattanza comunista di antifascisti italiani a lungo taciuta, ignorata — insegna. Anche l’anticipo di 24 ore della commemorazione, definito da qualcuno irrispettoso a fronte di una data fissata per legge al 10 febbraio, contribuisce alla sostanza delle sue dichiarazioni. Quando toccherà alle altre istituzioni affrontare le celebrazioni nessuno potrà addurre scuse o giustificazioni. Nessuno potrà contestare delle verità che la Presidenza della Repubblica indica come vincolanti per ogni italiano chiamato a partecipare alla Giornata del Ricordo. E alla sostanza del suo atteggiamento ha contribuito anche la decisione di tornare ad ospitarla tra le mura del Quirinale come già fatto dai suoi predecessori.
Commemorare la giornata del Ricordo nella sede della Presidenza della Repubblica contribuisce a conferirle quell’aurea di rievocazione “super partes” che nessun altra sede istituzionale può regalare. Perché solo le mura del Quirinale rappresentano quell’unità nazionale che ci lega indissolubilmente alle vittime delle Foibe e ai protagonisti dell’esodo.