Secondo Karl Marx, la storia si ripete sempre due volte: la prima seriamente (come tragedia diceva il fondatore del comunismo), la seconda come farsa.
E’ quello che è successo con il grottesco allarme sul presunto pericolo fascista e la conseguente, stucchevole ed inutile, polemica sulla natura e l’interpretazione del Fascismo stesso.
La sinistra in decomposizione non più in grado di gestire seriamente il dibattito culturale ha però mantenuto intatta la capacità di imporre gli argomenti del pubblico dibattito e non avendo niente di meglio per le mani ha scelto di rispolverare l’antitesi fascismo/antifascismo finalizzata ad un goffo uso politico della storia.
Una vecchia questione che, in termini molto più seri, si era già presentata negli anni ‘70 quando uscì la famosa “Intervista sul Fascismo” di Renzo De Felice, un libretto di sole 160 pagine che riassumeva in forma sintetica e divulgativa i suoi studi sul Fascismo che stavano generando la monumentale e fondamentale biografia di Mussolini purtroppo rimasta incompiuta.
Allora, in un’epoca di violenta contrapposizione ideologica nella quale molti protagonisti della guerra civile erano ancora impegnati in politica, questo fatto – di enorme rilevanza culturale – generò una violentissima polemica, un vero e proprio linciaggio secondo alcuni, che contrapponeva gli storici marxisti, azionisti e resistenziali a De Felice e ai suoi allievi in primis Emilio Gentile, colpevole di avere pubblicato il saggio “Le origini dell’ideologia fascista”.
Contro de Felice e la sua opera tuonavano indignati da sinistra storici come Nicola Tranfaglia, Angelo D’Orsi, Gianpasquale Santomassimo, Guido Quazza e figure politiche del calibro di Leo Valiani, Lelio Basso e molti altri.
Anche a destra qualcuno aveva storto il naso, ad esempio Maurice Bardèche, Gottfried Eisermann, Enzo Erra, Julien Freund, A. James Gregor e Giovanni Volpe nelle loro “Sei risposte a Renzo De Felice”.
In difesa del grande storico si erano schierati invece, tra i pochi, Rosario Romeo e, con molto coraggio e grandissima onestà intellettuale, Giorgio Amendola sull’Unità: “In realtà, sotto il disgusto morale ad affrontare la storia del fascismo si avverte spesso l’imbarazzo a fare la storia dell’antifascismo, che è la storia di un movimento che ebbe, accanto a momenti di alta tensione morale e politica, brusche cadute. Si preferisce ignorare tali limiti e debolezze per mantenere una versione di comodo, retorica e celebrativa, che non corrisponde alla realtà”.
Parole che i goffi antifascisti immaginari dei nostri giorni dovrebbero imparare a memoria.
Oggi la polemica è ricomparsa ma, seguendo la teoria di Marx, sotto forma di farsa.
Ad innescarla non è più una rivoluzione storiografica ma banali ed insignificanti fatterelli che rimbalzano tra talk show e social network; ad alimentarla non sono più tetragoni intellettuali organici dell’egemonia culturale gramsciana ma nani e ballerine del circo mediatico.
Prendiamo l’ultimo episodio in ordine di tempo: le reazioni scatenate dal siparietto di Giorgia Meloni che davanti al Palazzo della Civilità Italiana dell’EUR ha presentato la candidatura di Caio Giulio Cesare Mussolini, pronipote del Duce.

Una trovata abbastanza scontata, pensata evidentemente per lusingare in qualche modo anche gli elettori di destra-destra, sempre necessari soprattutto quando, per forza di cose, molti di loro guardano altrove apprezzando poco una linea politica ondivaga e un po’ confusa che cerca di mettere insieme moderati, sovranisti, conservatori, liberali e chi più ne ha più ne metta.
Un “grande contenitore, plurale e coraggioso”, con obiettivi numerici (cioè superare il 4% dello sbarramento europeo) più che politici, pensato per garantire alla scialuppa dei fratellini un tranquillo galleggiamento, nel quale c’è posto per tutti: naufraghi di Forza Italia in cerca di futuro, ex centristi rimasti a piedi, vecchi spezzoni più o meno democristiani in perenne transumanza, ma la cui identità politica e culturale risulta inevitabilmente ed irrimediabilmente annacquata.
Un fatto tutto sommato banale, quindi, che ha però scatenato le solite indignate reazioni pavloviane.
In prima fila troviamo, ancora una volta, lo spocchioso Michele Serra, principe dei commentatori radical chic e noto campione dell’antifascismo da salotto, che dalla sua Amaca di Repubblica bastona il povero bisnipote sia sul nome (carico di romanità e quindi già sospetto) che sul cognome.
Secondo Serra chi porta il cognome Mussolini non dovrebbe fare politica o quanto meno non dovrebbe farla in un partito come quello della Meloni.
Ovviamente l’oracolo di Repubblica fa di ogni erba un fascio (è proprio io caso di dirlo) saltando a piè pari tutto quello che separa il vecchio MSI da FDI (a dimostrazione del fatto che la cura dell’acqua minerale alla fine non è servita a niente).
In pratica invoca una ridicola limitazione politicamente corretta dei diritti civili di chi porta un determinato cognome, facendo ricadere le colpe dei bisnonni sui pronipoti per impedire loro di fare politica indipendentemente dalle loro capacità e dai loro comportamenti.
Anzi, secondo Serra sempre per via del cognome il pronipote Caio Giulio Cesare, persona degnissima che ha servito come ufficiale di Marina e lavorato come stimato dirigente di Finmeccanica, al massimo dovrebbe gestire una gelateria a Guidonia (città oltretutto fondata dal suo bisnonno).

Non contento, il titolare dell’amaca non risparmia qualche elucubrazione pseudo storica in tema di Fascismo, in realtà nient’altro che i soliti, inutili e superficiali slogan del “male assoluto” tanto in voga tra i pensatori radical chic: “Mussolini fu un dittatore, un razzista, un’icona del ridicolo e la rovina del suo popolo” o anche la balla secondo la quale in Italia, a differenza che in Germania col nazismo, “i conti con il fascismo non sono mai stati fatti veramente” (evidentemente neppure nelle radiose giornate della rossa primavera….) dimenticando che in Germania in realtà i conti li hanno fatti a modo loro gli Alleati a Norimberga, non i Tedeschi.
Se Serra conoscesse la storia dei cosiddetti processi di Francoforte degli anni ’60 saprebbe cosa è successo veramente in Germania quando qualcuno, in quel caso il procuratore Fritz Bauer, tra mille ostacoli ha cercato veramente di presentare qualche conto del passato.
Solo una profonda ignoranza della materia può spiegare certe affermazioni.
Per quanto strano possa sembrare, Michele Serra non rappresenta nemmeno il fondo del barile dell’antifascismo da barzelletta..
Ben più qualificato di lui in questo senso è (non unico) un certo Pif, al secolo Pierfrancesco Diliberto, viene definito contemporaneamente “conduttore televisivo, autore televisivo, sceneggiatore, regista, scrittore, attore e conduttore radiofonico italiano”, in pratica tutto quanto fa spettacolo.
Personaggio tipico dei nostri giorni, che esiste solo perché bazzica in qualche modo radio e TV anche se non si capisce in base a che cosa le sue opinioni, formate non si sa come, meritino attenzione.
Eppure qualcuno, che evidentemente aveva tempo da perdere, ha pensato di interpellare questo tizio sul tema del giorno, cioè il pericolo fascista.
Ne viene fuori un perfetto ritratto della sottocultura che domina certi ambienti pseudo intellettuali.
“Viviamo in un paese democratico e dobbiamo partire dal fatto che Mussolini, come tutti i dittatori di qualunque colore, era un dittatore di merda”.
Le migliaia di pagine che Renzo De Felice ha scritto sul tema in decenni di lavoro sono così sistemate.
Ovviamente ce n’è anche per la Meloni e per il pronipote Caio Giulio: “Giorgia Meloni ha candidato un nipotino di Mussolini e ha fatto un video davanti al Palazzo dell’Eur a Roma dove questo signore afferma che Mussolini ha fatto anche tante belle cose. Allora paragoniamo le leggi razziali alla bonifica delle paludi?”.
Il ragazzo non manca, poi, di affrontare un tema fondamentale per l’Italia di oggi, ovvero il saluto romano: “Se una volta fare il saluto romano era un’eccezione, adesso accade quasi ogni giorno e sta diventando la normalità. Mi preoccupa parecchissimo”, e dispensa anche una raffinata analisi politico-sociale: il Fascismo potrebbe davvero tornare (ovviamente) ma con una “nuova tipologia”, quella del “povero che ha motivi per essere incazzato e se la prende con chi è più povero di lui, non con chi governa”.
E’ questo il livello miserabile in cui è precipitata la sinistra in poco più di 40 anni, passando dagli intellettuali organici e dai militanti duri e puri ai salotti snob ed ai guitti del sistema mediatico.
Come diceva Laura Antonelli in un bel film uscito più meno nello stesso periodo dell’Intervista di De Felice: “Dio mio come sono caduta in basso….”
Tutto condivisibile, ad eccezione dei conti col passato della Germania: effettivamente sono stati fatto, dal 68 in poi. E infatti l’odierno antifascismo della sinistra si ispira proprio al modello tedesco