Impazza il totoministri (con nomi non molto rassicuranti); il Rapporto su povertà ed esclusione sociale della Caritas certifica che in Italia nel 2021 i poveri assoluti erano circa 5.6 milioni, di cui 1.4 milioni di bambini, problema certamente peggiorato nel 2022 ma del quale nessuno, a cominciare dalla sinistra si vuole occupare (destra sociale non pervenuta, visto che ci si è acriticamente appiattiti su un liberismo caricaturale e un po’ naif); il signor Mutti, quello dei pomodori, ci fa sapere che la sua bolletta per l’energia è arrivata a 42 milioni di euro, cioè ben 12 volte in più rispetto ai 3,5 milioni di euro del 2020, dandoci un’idea concreta del disastro in arrivo per migliaia di aziende.
Siccome piove sempre sul bagnato, a questo scenario si è aggiunto ieri un altro drammatico problema, talmente grave da monopolizzare per un giorno il dibattito politico, il baccano mediatico e l’attenzione della popolazione.
Tutto nasce da uno sgoob, come direbbe il compianto Aldo Biscardi, della giornalista parlamentare Alessandra Sardoni della premiata ditta Cairo-Mentana che non sarà il Washington Post di Ben Bradley e della signora Graham ma che in quanto a giornalismo d’inchiesta (all’italiana) si difende egregiamente.
L’intrepida cronista capitata al MISE di Via Veneto scopre che vi sono esposti i ritratti di tutti i ministri che nel tempo si sono succeduti in quel ministero, un lungo elenco che comprende gente come Gava, Andreotti, Colombo, De Mita, Prodi, Savona, Bersani, Letta, Scajola sino ai più recenti (e miseri) Di Maio e Patuanelli.
Ma chi c’è al primo posto della lista? Nientepopodimeno che Lui, proprio il cavalier Benito Mussolini, Ministro delle Corporazioni dal 20 luglio 1932 all’11 giugno 1936, che aveva fatto erigere da Marcello Piacentini quel palazzo inaugurato il 30 novembre 1932. L’esposizione dei ministri che lo hanno occupato era stata allestita proprio nell’ambito delle celebrazioni per i 90 anni della costruzione della sede del ministero.
La brava cronista si affretta a dare notizia della sconvolgente scoperta praticamente in diretta scatenando così la solita cagnara, più comica che drammatica, tipica di un paese nel quale da sempre farsa e tragedia si mischiano e confondono.
Avvia le danze Bersani che twitta, forse ironicamente, “Mi giunge notizia che al MISE sarebbero state esposte le fotografie di tutti i ministri, Mussolini compreso. In caso di conferma, chiedo cortesemente di essere esentato e che la mia foto sia rimossa”.
L’effetto è quello della trombetta dei battitori di una caccia alla volpe: la muta dei segugi sinistrorsi si scatena e riempie social e media di dichiarazioni rabbiose, ringhiose, a volte squallide a volte ridicole.
Si fa a chi la spara più grossa. Uno dei più divertenti è Sandro Ruotolo, vecchio pasdaran giornalistico dei programmi di Santoro, brevemente riciclatosi come parlamentare, ma trombato di brutto alle ultime elezioni: “#antifascismo Bravo il compagno #Bersani a sollevare la questione. Sarà rimossa la foto di #Mussolini esposta al #Mise. Dicono che ci sia anche a #palazzoChigi nella galleria dei presidenti del consiglio. Che venga rimossa anche da lì”, tuona da Twitter ma ci pare di vederlo con eskimo e megafono in una manifestazione da antifascismo militante.
Non poteva certo mancare, tra i molti, il solito Berizzi il quale, forse frastornato dalla mole di lavoro (chiamiamolo così) piombatagli addosso dopo le elezioni, stranamente in ritardo e solo a giochi fatti riesce a propinarci una inutile banalità: “La foto di #Mussolini al Mise, a palazzo Chigi e in generale in ogni palazzo della Repubblica nata dalla Resistenza è una vergogna per l’Italia. Se in Germania esponessero la foto di Hitler nella sede di un ministero i responsabili andrebbero a casa un secondo dopo.”
Nel frattempo, infatti, l’ondata mediatica era arrivata al ministero trovandovi la duttile plastilina neo-democristiana, anzi neo-dorotea, del ministro in carica Giancarlo Giorgetti, candidato in pectore per il Ministero dell’Economia (ipotesi apparentemente bizzarra ma evidentemente necessaria) il quale, in linea col suo stile curiale (o meglio da Don Abbondio), non fa un plissè: “nessuno se ne è accorto” dice l’ex sindaco di Cazzago Brabbia “Ci sono tutti i ministri e, ahimè, Mussolini è stato il primo ministro delle corporazioni. C’è anche a Palazzo Chigi, comunque se è un problema la togliamo”.
Detto e fatto: poco dopo il ministero comunica la rimozione dell’immagine del Cavalier Benito dalla parete del palazzo che lui stesso aveva fatto costruire, risolvendo così il problema dal quale, per mezza giornata, erano dipesi i destini della Patria.
Unica voce dissonante, immediatamente stigmatizzata dalla muta dei segugi, quella del presidente del Senato Ignazio La Russa: “c’è anche al ministero della Difesa, c’è scritto anche al Foro Italico, che facciamo cancel culture anche noi?”.
Chissà cosa succederà quando il Berizzi o il Fratoianni di turno si accorgeranno che nello stesso edificio la monumentale vetrata di Mario Sironi dedicata alla Carta del Lavoro rappresenta allegoricamente il lavoro della terra con le fattezze del cavalier Benito.
Resta, ovviamente, lo squallore e la meschinità della vicenda: solo l’ignoranza può impedire di vedere la distinzione tra storia e (presunta) apologia, solo una faziosa mala fede può far credere che si possa cancellare la storia o riscriverla a proprio uso e consumo.
Lo aveva spiegato perfettamente George Orwell in 1984: “Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”, ma a quanto pare a sinistra non leggono Orwell.