Un gruppo di deputati, quasi tutti del PD più alcuni di LEU, IV e M5S, tra i quali spiccano insigni esponenti dell’antifascismo più caricaturale e rabbioso – come Fiano e Boldrini – ed altri più o meno assortiti come Fassino (il che non depone a favore del successo dell’iniziativa) o la pittoresca Pezzopane, hanno depositato una proposta di legge affinchè “Bella Ciao diventi canto ‘istituzionale’ del 25 aprile”.
Secondo i proponenti la “canzone popolare Bella Ciao” è da sempre associata al periodo della Resistenza e alla festa della Liberazione del 25 aprile ed è considerata un “inno espressione popolare dei più alti valori alla base della nascita della Repubblica”. Per questo motivo Bella Ciao dovrebbe essere posta sullo stesso piano dell’Inno di Mameli ed essere “eseguita, dopo l’inno nazionale, in occasione delle cerimonie ufficiali per i festeggiamenti del 25 aprile, anniversario della Liberazione dal nazifascismo”.
Appurato che non si tratta di uno scherzo, non ci rimane che constare che questa indispensabile iniziativa, decisiva per il destino della Patria e per il futuro del popolo italiano, dimostra ancora una volta l’indiscutibile contatto con la realtà dei proponenti e il loro innato senso delle priorità. L’utilità di ingombrare il Parlamento con una questione del genere nel bel mezzo di una pandemia devastante, con l’economia in caduta libera e centinaia di migliaia di licenziamenti in arrivo, è infatti innegabile.
D’altra parte è Letta che traccia il solco ma sono i peones pidioti che lo difendono: Bella Ciao si inserisce degnamente nella lista delle priorità indicate dal segretario del PD: voto ai sedicenni, ius soli, immigrazione senza limiti e tassa di successione. Quello che i deputati canterini, però, dimenticano – o forse proprio non sanno (per la retorica resistenziale tutto fa brodo) – è che Bella Ciao non è affatto l’inno cantato dai partigiani durante la guerra civile che si racconta oggi.
L’unica vera canzone partigiana di cui si abbia notizia è “Fischia il Vento” l’inno delle brigate partigiane comuniste adattamento di “Katjuša”, popolare canzone di guerra sovietica, il cui testo, però, ricco di riferimenti alle bandiere rosse, alla rossa primavera, al sol dell’avvenire e alle dure vendette male si adattava all’artificiale narrazione resistenziale costruita nel dopoguerra.
Serviva qualcosa di più ecumenico e enfatico ed è per questo che, adattando vecchi canti popolari forse quelli delle mondine, nel dopoguerra saltò fuori Bella Ciao che, con il suo edificante raccontino “patriottico”, privo di riferimenti politici, dell’invasore trovato dalla sera alla mattina si adattava perfettamente al mito pseudo risorgimentale che si voleva fabbricare ed imporre.
Come ha detto il partigiano Giorgio Bocca “nei venti mesi della guerra partigiana non ho mai sentito cantare Bella Ciao, è stata un’invenzione del Festival di Spoleto”.
La prima diffusione della canzoncina avvenne grazie al “Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti” organizzato nel 1948, nel 1949 e nel 1951 rispettivamente a Praga, Budapest e Berlino Est dalla “Federazione mondiale della gioventù democratica” un’organizzazione giovanile di sinistra fiancheggiatrice dell’Unione Sovietica e di tutte le cause della sinistra internazionale, della quale nel 1950 era stato eletto presidente l’allora giovane comunista Enrico Berlinguer ed il cui segretario generale, il sovietico Aleksandr Šelepin, membro del Komsomol, diventerà nel 1958 presidente del KGB. Fu grazie a queste kermesse propagandistiche che Bella Ciao, presentata e cantata dalle delegazioni italiane in rappresentanza dei movimenti giovanili del PCI, si diffuse tra i partecipanti provenienti da tutto il mondo e venne tradotta in molte lingue.
La vera consacrazione popolare, però, si ha negli anni ’60, quando l’uso politico del mito resistenziale diventa una componente essenziale ed irrinunciabile della strategia della sinistra. Nel 1963 Bella Ciao entra nel repertorio di Yves Montand e diventa così un successo internazionale che rimbalza anche in Italia, dove verrà eseguita da Milva e Giorgio Gaber, dai Gufi e da lì in avanti da moltissimi altri fino ai giorni nostri, consolidando definitivamente la leggenda della “canzone partigiana” che oggi si è oramai definitivamente sovrapposta alla realtà, complice anche il passare del tempo.
Non sappiamo se il gruppetto di deputati che ha trovato il tempo di occuparsi di questa faccenda conosca veramente la storia di Bella Ciao e si renda conto di quello che sta effettivamente chiedendo: in pratica una legge che, sulla base di un sostanziale falso storico, equipari una canzone di propaganda politica all’Inno Nazionale.
Anche se, a pensarci bene, la proposta diventerebbe in realtà molto sensata se solo venisse riportata ai giusti termini: alle celebrazioni del 25 aprile andrebbe vietata l’esecuzione dell’Inno di Mameli e resa obbligatoria quella di Bella Ciao. Sarebbe il modo più coerente di celebrare quella che è e rimane una ricorrenza divisiva e di parte.