La batosta elettorale dello scorso settembre ha offerto molte lezioni al Partito Democratico – e al suo, si spera per sempre ex, segretario Enrico Letta, diretto responsabile d’una campagna elettorale fondata sull’odio e sulla mancanza di argomenti, legittimamente premiata con un disastro tale da far rimpiangere sciagure del calibro di Occhetto e Rutelli. Per l’appunto, i piddini avrebbero potuto imparare che: non si campa del solo disprezzo nei confronti degli avversari; invece di inveire contro i candidati dei succitati avversari, è buona cosa presentarne di propri; è quanto meno opportuno che un partito abbia non dico addirittura delle idee, ma almeno delle proposte (no, cretinate come la legalizzazione della droga non sono “proposte”, sono soltanto crimini); nonostante i “desiderata” delle multinazionali abbiano diffuso l’opinione stando alla quale le priorità delle politica siano pastrocchi di costume come i manifesti LGBT, le questioni da affrontare sono altre (inezie come la crisi energetica, rispondere alla guerra russo-ucraina con proposte diplomatiche intelligenti e non con gli insulti di Draghi e Di Maio, l’insussistenza del diritto al lavoro, la sempre più prepotente ingerenza dell’Unione Europea nelle questioni italiane, la salvaguardia di quel poco di settore pubblico che non sia stato ancora smantellato e saccheggiato dal già citato Draghi, l’emergenza educativa della quale sono vittime gli adolescenti di oggi che, ricordiamo, saranno gli adulti di domani); l’immigrazionismo ha fatto soltanto danni, e pure gravi, al tessuto sociale dei paesi d’arrivo (segnatamente, l’Italia) come di quelli di partenza.
Non c’è speranza, quando si è stati educati a darsi ragione da soli, contro ogni ragion veduta, si continua a farlo. Il PD non ha perso, secondo il PD stesso, per i propri (tanti, e pure gravissimi) sbagli: ma perché gli italiani sono stupidi e ignoranti. Si parli con una delle tante bestie mondialiste uscite dalle facoltà di Lettere, di quelli che su Facebook seguono pagine come “Abolire il suffragio universale”, di quelli che si sono laureati imparando a macchinetta il programma d’esame e senza mai leggere nulla d’altro; di quelli che ripetono in continuazione di essere “open minded” (dicendolo per di più in inglese, per ribadire di essere sudditi globalisti) per potersi rassicurare da soli, e che per una strana coincidenza in nome di questa pretesa apertura mentale seguono pedissequamente ogni punto dell’agenda mondialista; insomma i cosiddetti “semicolti”, quelli che appunto a ogni scadenza elettorale che non finisce come pretendono loro strillano che no, chi non vota come loro non ha diritto al voto, loro sì che sanno cosa si deve votare, anche se quando il loro beniamino (non sanno perché lo sia, ma gli è stato detto che dev’esserlo e allora signorsì, è il nostro idolo) Draghi ha citato Andreatta non avevano la più pallida idea di cosa stesse dicendo.
Dicevamo: i soldatini del pensiero unico non accettano le lezioni, perché (gli è stato detto che) non hanno mai torto. Ai coglionazzi che blaterano di “libero arbitrio” (che è una questione complessa, ma a scuola gli hanno detto che significa “faccio come mi pare”) e “libero pensiero” (sì, ma uno solo) è stato tolto il pensiero critico. Quindi no, la lezione non si impara, perché non la si accetta. Tutto preordinato, precostruito, prestabilito, preconcetto.
Del resto, hanno dettato legge negli scorsi settant’anni di storia italiana, dunque perché cambiare qualcosa? Restano quindi validi tutti gli strumenti usati dalla sinistra italiana, segnatamente dal PCI. Il più divertente, il più efficace, il preferito da galantuomini come Sant’Enrico Berlinguer e dal suo “minion” Tatò: la schedatura, il dossieraggio, l’adunata alle armi, l’incitamento all’odio contro il nemico comune.
Succede poi che il centrodestra abbia la brillante trovata di assegnare la Presidenza della Camera a Luciano Fontana. Immediate, pavloviane le reazioni: striscioni realizzati in un amen, invettive su Twitter di Boldrini e Jebreal, un proliferare istantaneo di articoli allarmistici. Il più comico, un dossier comparso sulla Pravda globalista, “Vanity Fair”, firmato da una delle sue collaboratrici peggiori: il ritratto che costei traccia di Fontana è il riassunto di tutto ciò che, per essere accettati nell’Occidente del Duemila, si deve detestare. Putiniano (come predica Gramellini, chi non abbia il santino di Zelensky nel portafogli e osi considerare complessa la questione russo-ucraina, è tale), omofobo (e va riconosciuto che promuovere un evento a encefalogramma piatto come il forum veronese di tre anni fa non è stata una gran trovata), vicino a gruppi di estrema destra (la prova provata: essere andato allo stadio a vedere l’Hellas Verona), e quel che è peggio: fanatico religioso, ultracattolico, “conservatore e tradizionalista” (due delle etichette più abusate nel dibattito postconciliare, a uso e consumo di gente che aveva in uggia Ratzinger perché non faceva la rockstar come Wojtyla).
Questa la prova: si dice (e già argomentare in base a “si dice” non è segno di giornalismo serio) che Luciano Fontana dica 50 (tantissimi!) Ave Maria al giorno. Perdinci! Ma è un pazzo, un fanatico, un talebano cattolico, un Savonarola. Non fosse che “50 Ave Maria al giorno” si chiamano “rosario”, e che questo non sia una forma di fanatismo religioso, una astrusa pratica riservata a “conservatori e tradizionalisti”, ma una comunissima forma di preghiera, la quale non richiede chissà quale zelo, ma soltanto un minimo di pazienza (molta meno di quella necessaria a sopportare l’ennesimo film salottiero della Archibugi).
Che si indichi un “nemico” in base ai “si dice”, alle sue opinioni, dice molto su quanto buoni siano “i buoni”, su quanto tolleranti siano “i tolleranti”, su quanto colti e intelligenti siano i professionisti dell’informazione, quelli che sanno cosa si deve votare e chi abbia o meno diritto al voto.
Non è allarmante che il nuovo Presidente della Camera sia un “cattolico tradizionalista”, lo è piuttosto che si urli all’allarme, con tanto di dossier sulle opinioni da censurare, perché una carica istituzionale è stata assegnata a un credente. Chi da anni si lamenta delle “ingerenze vaticane” nella vita degli italiani finge di non accorgersi dell’intolleranza che in tutto l’Occidente deborda nei confronti della religione e, quel che è peggio, di chi è religioso. Oltre che dell’intolleranza dei “tolleranti” nei confronti di chi non sia un globalista fatto e finito, rispondente a tutte le opinioni prefabbricate dal pensiero unico.
Che una nuova generazione di italiani, e di professionisti, cresca senza sapere una cosa nota e risaputa da milioni di persone prima di loro – cosa sia un rosario – dice molto sull’emergenza educativa, sulla devastazione spirituale d’un mondo, e sul lento suicidio che la Chiesa Cattolica sta protraendo dal Concilio Vaticano II. Che una collaboratrice di Vanity Fair metta in guardia da un fanatico religioso che ha la terrificante colpa di pregare, spacciando la semplicissima pratica del rosario per un segnale di delirio, è il grottesco riassunto di quanto miserabilmente arroganti, interiormente poveri e profondamente ignoranti (non per questioni di cultura “libresca” – lacunosissima – quanto per incapacità di guardarsi attorno) siano i “millennial”, quella stessa generazione che personaggi come Severgnini presenta come la meglio informata della storia, a patto che creda all’informazione che fa comodo a quelli come lui.