Subito al termine delle elezioni politiche, il capo supremo Letta ed il maresciallo Emiliano, decisero che Bitonto sarebbe stata la Stalingrado d’Italia, la ridotta in Puglia da dove sarebbe divampata la Resistenza per tutta la penisola. Chiamarono a raccolta le forze migliori della sinistra, il nemico avrebbe sputato sangue, come avevano giurato a se stessi.
Dopo pochi giorni , Bitonto era affollata di uomini pronti alla pugna, grande o piccola che fosse.
Le truppe furono organizzate e fatte passare in rassegna davanti a Letta ed Emiliano, nelle vie di Bitonto.
Per prima sfilò la fanteria dei fedeli pidioti ,pronti a combattere sventolando la bandiera pacifista arcobaleno; poi fu la volta delle truppe scelte d’assalto LGBT, intrepidi ed uniti come un sol omo, infine i granatieri dei centri sociali che esibivano la bandoliera con infilate bottiglie molotov pronte all’uso.
Al canto di Bella ciao, salutavano con il pugno chiuso nel momento del passaggio sotto il palco dei due grandi condottieri.
Le truppe si disposero tutte attorno alla città, pronte allo scontro, “hasta la victoria siempre”.
Trascorsero alcuni giorni, ma non accadde nulla. Come Annibale dopo la vittoria di Canne, sempre in terra di Apulia, a cui seguirono gli ozi di Capua. In questo caso, per abbreviare, Emiliano in sintesi si trovò ad affrontare gli ozi di canne, molte canne, che offuscarono le menti delle truppe pidiote.
Come nel deserto dei Tartari, Emiliano scrutava l’orizzonte, ogni ora di ogni giorno, nella speranza che il nemico si palesasse. Ma il “nemico” non se lo filava per niente. Nessuna truppa meloniana all’orizzonte, nessuno che sputasse sangue appariva da dietro un uliveto.
Il tempo passava, i fumi delle canne ammorbavano l’aria, negli occhi dei sinistri combattenti non c’era più l’aggressività della tigre, ma la passività del bradipo.
L’unico che apparve fu alla fine il sindaco esasperato di Bitonto, il quale disse ad Emiliano, ormai soprannominato il maresciallo Sbadiglio, che era giunta l’ora di smammare e di lasciare libera la città di poter vivere in uno stato di normalità.
Emiliano, in grave imbarazzo, avrebbe dovuto intimare il “sciogliete le righe”, ma ad uno ad uno i combattenti vennero ad accomiatarsi spiegando i motivi di quella specie di diserzione.
“Vorrei tornare a Capalbio.”
“Debbo dare l’acqua ad i gerani.”
“La mi’ zia ha finito i pannoloni.”
“Se non la muovo, mi si scarica la batteria dell’auto.”
E come queste furono tante le scuse per andarsene alla chetichella.
Intanto , il capo supremo Letta, se l’era filata con il suo minibus elettrico che si scaricò a Tricarico, prima di arrivare a Potenza, ironia della sorte.
Il maresciallo Sbadiglio , provò a chiamare sul cellulare la Meloni, per rendere l’onore delle armi, ma la linea era sovraccarica e non riuscì nemmeno a parlarci.
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