Due fatti, apparentemente lontani tra loro, accaduti in questi giorni ci dicono molto del clima che si respira oggi in Italia. A Torino, Milano e Roma la Polizia prende a manganellate, con inusitata violenza, liceali che protestano pacificamente per la morte di Lorenzo Parelli, il 18enne morto in fabbrica mentre terminava uno stage dell’alternanza studio-lavoro. A Bari, invece, la magistratura se la prende con un ventenne condannandolo ad 11 mesi di reclusione per il reato di riorganizzazione del disciolto partito fascista consistente nell’avere militato in Casa Pound quando era appena sedicenne.
Due situazioni emblematiche dello stato in cui versa il diritto di opinione oggi in un’Italia governata da una ambigua dictablanda, capace di impedire a persone sane l’ingresso nei negozi o a innocui vecchietti di ritirare la pensione alla posta e che non esita, tra il plauso e il conformismo generale, a reprimere duramente ogni manifestazione di pubblico dissenso. Un paese nel quale la cosiddetta “libera stampa” preferisce applaudire a scena aperta il capo del governo anziché fargli domande scomode.
Il caso di Bari ci riporta ancora una volta all’annosa questione dell’applicazione della Legge n. 645 del 1952 (la cd legge Scelba), un tema sul quale, in tempi di antifascismo con la bava alla bocca e di ricerca di capri espiatori, la magistratura di merito si produce spesso in singolari interpretazioni figlie più di suggestioni politiche che di una rigorosa applicazione delle norme.
Qualche tempo fa, ad esempio, abbiamo commentato una bizzarra pronuncia in primo grado che ha giustificato una illogica condanna, totalmente difforme dalla giurisprudenza dominante, con la presenza in Italia di una “pericolosa deriva sovranista”. Non conosciamo ancora le motivazioni della decisione dei giudici di Bari, secondo i quali un adolescente di 16 anni potrebbe ricostituire il disciolto partito, rappresentare un pericolo per l’ordine democratico e quindi meritare una condanna esemplare.
A quanto pare il ragazzo barese, assolto per non aver commesso il fatto dall’accusa di avere partecipato al violento scontro che il 21 settembre 2018 aveva contrapposto militanti di Casa Pound e manifestanti di sinistra, sarebbe stato condannato solo per la sua appartenenza all’organizzazione politica che i giudici definiscono aprioristicamente un gruppo con “finalità antidemocratiche proprie del partito fascista” che agisce “esaltando e minacciando e usando la violenza e il metodo squadrista quali strumenti di partecipazione politica”. Conosciamo, però, i limiti ai quali, secondo la Corte Costituzionale e la Cassazione, dovrebbe attenersi la valutazione del giudice in questi casi.
La cd Legge Scelba punisce chiunque “promuova od organizzi sotto qualsiasi forma, la costituzione di un’associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità di riorganizzazione del disciolto partito fascista, oppure chiunque pubblicamente esalti esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche”, maimponendo a tutti gli effetti una seria limitazione della libertà di pensiero, di opinione e di libera associazione, comprime fondamentali diritti individuali garantiti dalla Costituzione.
Si tratta, quindi, di stabilire fino a che punto e a quali condizioni sia legittimo privare o limitare il pieno godimento di questi diritti reprimendo col carcere determinate opinioni politiche. Lo ha fatto Corte Costituzionale con due sentenze specifiche la n. 1 del 16 gennaio 1957 e la n. 74 del 6 dicembre 1958. Il primo estensore Enrico de Nicola, presidente provvisorio della Repubblica nel 1946 , definisce un principio fondamentale, stabilendo che vi è reato solo quando si concretizzi in atti tali “da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista”, cioè in una “istigazione indiretta a commettere un fatto rivolto alla detta riorganizzazione e a tal fine idoneo ed efficiente”.
La seconda sentenza, invece, definisce cosa si intenda per “pubbliche manifestazioni fasciste” vietate e punibili: “[il legislatore] ha inteso vietare e punire non già una qualunque manifestazione del pensiero, tutelata dall’art. 21 della Costituzione, bensì quelle manifestazioni usuali del disciolto partito che, come si è detto prima, possono determinare il pericolo che si è voluto evitare”.
Si tratta di principi tutto sommato semplici e chiari: solo i fatti idonei in modo efficiente a condurre alla ricostituzione del disciolto partito fascista sono punibili ai sensi della legge Scelba e solo le pubbliche manifestazioni che per circostanze, ambiente e momento siano idonee a concretizzare effettivamente tale pericolo costituiscono reato.
In altre parole, le libertà di opinione, pensiero e libera associazione possono essere limitate e represse solo se ed in quanto rappresentino un effettivo e concreto pericolo per l’ordinamento democratico. La semplice manifestazione di un’opinione politica “fascista” (“difesa elogiativa”) non è invece perseguibile indiscriminatamente.
Principi costantemente seguiti ed applicati dalla Cassazione secondo la quale “un concreto tentativo di raccogliere adesioni ad un progetto di ricostituzione” (Cass. n. 37577/2014, ex multis) è condizione indispensabile per la sussistenza del reato e che per questo ha sempre annullato le sentenze di condanna che non si attengono a questo orientamento.
Dovremo aspettare che vengano rese note le motivazioni di questa sentenza per capire in che modo, secondo i giudici baresi, un ragazzo sedicenne solo perché militante di Casa Pound possa costituire un pericolo “concreto ed attuale” per l’ordinamento democratico. O forse capiremo che, come in molti altri casi, sono stati il pregiudizio ideologico e le suggestioni ambientali a condannare al carcere un adolescente che forse dovrà arrivare fino in Cassazione per ottenere giustizia.