Bye bye, Christopher. Avviso di sfratto per Colombo. E sempre nella terra scoperta nel 1492. Già in 51 città americane e cinque Stati, il Columbus Day è stato rottamato a favore dell’Indigenous People Day. Spariti all’arrivo del navigatore genovese, i nativi del Nuovo Mondo saranno celebrati-festeggiati-ricordati «il secondo lunedì del mese di ottobre». Con tanti saluti alle celebrazioni colombiane, che va da sè scompaiono. Non ancora dappertutto. Certamente nel Minnesota, in Alaska, Oregon e Vermont ultimo arrivato insieme al New Mexico. Col Maine che non è certo da meno, cercando a sua volta di archiviare a breve il Columbus Day.

Altri Stati si stanno preparando a votare, e poi varare, la nuova legge che abbatta il Navigatore a favore dei Nativi. Tra le oltre cinquanta città Columbus Free, Berkeley (of course), Seattle, Minneapolis, Denver, Nashville, Durango, Albuquerque, Northampton e Lawrence. Con buona pace della comunità italiana, che almeno nella Grande Mela ha già iniziato da tempo a protestare, sentendosi sempre più orfana dell’illustre antenato genovese nel Paese da lui scoperto.
Certo è che la tendenza pare difficile da invertire. E non è affatto escluso che entro ottobre altri Stati cancellino il Columbus Day a favore dell’Indigenous People Day. Jonathan Nez, presidente della Nazione Navajo, dopo la scelta del New Mexico, sottolinea: «Per molti anni, le persone indigene hanno protestato contro il Columbus Day che celebra il colonialismo, l’oppressione e l’ingiustizia inflitte alle persone indigene. L’Indigenous People Day permette ai cittadini di riconoscere la nostra ricca eredità e rappresenta un passo verso la crescita».
E che per Colombo marcasse male, s’era capito già da qualche anno. Da quando le statue dedicate al Navigatore ligure venivan giù come le olive durante la bacchiatura: Yonkers, Detroit, Baltimora, Lancaster, Columbus e San Josè. Con buona pace della Farnesina, che due anni fa aveva commentato: «Cristoforo Colombo rappresenta in tutto il mondo non solo negli Stati Uniti un simbolo fondamentale della storia e dei successi italiani. La scoperta dell’America resta in ogni caso patrimonio dell’umanità, nonostante ogni dibattito volto a voler rileggere oggi eventi di tale grandezza».
D’altronde, fin dal 1992, Zurab Konstantinovich Tsereteli – scultore georgiano venerato a Mosca – aveva già avuto il suo bel daffare a tentare di piazzare una (orrenda) megastatua di Colombo per il Cinquecentenario della Scoperta dell’America. Una robina da oltre trenta metri, che Tsereteli aveva tentato di vendere prima nelle Terre del Nuovo Mondo: invano. E poi negli Stati Uniti, ottenendo lo stesso risultato. Zero. Infine, il sindaco di Mosca grande estimatore e amico dello scultore, gli aveva lanciato una ciambella di salvataggio: Pietro il Grande. Stava per avvicinarsi un anniversario a cifra tonda del primo comandante della flotta russa e un bel riconoscimento ci sarebbe potuto stare. Detto fatto, Tsereteli s’è messo all’opera con un accorgimento facile facile: la decapitazione di Colombo, a favore di zar Pietro. Sui trenta metri di bronzo è stato dunque mozzato il capo del genovese, sostituito dal testone dello zar. Che a poche centinaia di metri da Gorky Park svetta in tutta la sua imponente bruttezza. E pazienza per quelle tre caravelle (tuttora) alla base della mastodontica statua. Dettagli. Tantopiù che Tsereteli ha sempre smentito il riciclo artistico. Senza però mai spiegare il perchè di quelle tre caravelle colombiane.
Patrizia Albanese, The MediTelegraph, 22 aprile 2019