Venerdì scorso, nell’interessante dibattito seguito alla presentazione della graphic novel su Sergio Ramelli di Marco Carucci e Paola Ramella (di cui parleremo in Penna Pellicola Palco), l’avvocato Gaetano Pecorella, allora schierato a sinistra, si chiedeva se dopo quella tragica vicenda e visti i molti anni che da essa ci separano, nella pratica politica fosse realmente cambiato qualcosa. Si chiedeva, in particolare, se oggi finalmente ci si potesse confrontare civilmente da avversari o se, invece, si sia rimasti alla logica della contrapposizione violenta e del nemico da abbattere che aveva caratterizzato la politica degli anni ’70. La risposta a questa domanda è molto meno ovvia e scontata di quanto non possa sembrare.
Perché se è vero che, per fortuna, la violenza degli anni ’70 è solo un ricordo e che oggi quasi nessuno gira più per la città armato di spranghe e convinto che “uccidere un fascista non è reato” (qualcuno per la verità c’è ancora) o gridando “10, 100, 1000 Ramelli” non sembra che l’intolleranza, il settarismo e il fanatismo cha stavano alla base di quella violenza siano veramente scomparsi. La dimostrazione ce la forniscono i miseri fatti degli ultimi giorni.
Come ogni anno avvicinandosi il 25 e il 29 aprile le zitelle isteriche dell’ANPI, oramai associazione di pseudo reduci (sui 124.000 iscritti del 2015 la guerra civile l’hanno vista solo in 5.000), hanno iniziato la loro consueta e virulenta campagna per impedire con ogni mezzo qualsiasi celebrazione in ricordo dei caduti della RSI sepolti al Campo X di Musocco, il 25 aprile, e di Sergio Ramelli, Enrico Pedenovi e Carlo Borsani il 29 aprile.
Come si sa questa pretesa, che in realtà è solo una manifestazione di inciviltà e intolleranza, si basa su di una immaginaria ed infondata interpretazione della legge n. 645/1952, la cd legge Scelba, che secondo i signori dell’ANPI vieterebbe per principio qualsiasi manifestazione celebrativa delle organizzazioni di destra in quanto per definizione “apologetiche del Fascismo”. Una pretesa assurda che non ha nessuna attinenza con la realtà e che per questo non ha mai trovato conforto nelle aule di giustizia dove, soprattutto negli ultimi anni, una raffica di sentenze di assoluzione ha fatto piazza pulita delle smanie dell’ANPI e dei suoi fiancheggiatori.
Sin qui niente di nuovo. Quest’anno, però, il quadro si è complicato.
Uno spaesato Beppe Sala, in evidente difficoltà di fronte ai reali problemi della città e sempre più ostaggio di una sinistra milanese oramai molto radical e poco chic, si è aggiunto al coro delle prefiche ANPI esercitando forti pressioni affinchè Questura e Prefettura vietassero le consuete manifestazioni della destra. Una richiesta alquanto bizzarra, amplificata da una certa stampa che vede la città in balia di una “risacca nera” (il pericolo nero quando la sinistra è in difficoltà è un vecchio classico ereditato dagli anni ’70)
In realtà la cerimonia di suffragio al Campo X si tiene da decenni senza che ciò abbia mai creato problemi di alcun tipo (a parte il rodimento dell’ANPI) e ad essa hanno presenziato per molti anni alcuni dei predecessori di Sala, come Gabriele Albertini e Letizia Moratti, della quale Mr. Expo era allora direttore generale evidentemente distratto e/o molto meno sensibile ai richiami dell’antifascismo militante. Neppure Giuliano Pisapia, molto più a sinistra di Sala, pur rifiutandosi di presenziare anche solo simbolicamente alla cerimonia aveva mai pensato di vietarla.
Ancor più sorprendente, però, è stata la risposta dell’autorità preposta che, dopo qualche incertezza, ha accolto la pretesa degli antifascisti vietando ogni celebrazione in nome del divieto di apologia del Fascismo. Una decisione singolare che non può trovare seria giustificazione né sul piano dei fatti, come si è detto non ci sono mai stati problemi di nessun tipo, né su quello del diritto (tralasciando considerazioni etiche sulla mancanza di pietà e di rispetto per i morti). E’ infatti alquanto strano che un’autorità dello Stato sposi acriticamente interpretazioni della legge fantasiose e infondate come quelle dell’ANPI trascurando quelle, ben più serie e fondate, della giurisprudenza.
Proprio la Corte d’Appello di Milano, confermando qualche mese fa l’assoluzione di due militanti di Casa Pound accusati di apologia del fascismo per un saluto romano durante una commemorazione del 29 aprile, aveva definito con grande chiarezza i termini giuridici della questione: per giustificare la punibilità dei fatti occorre “che vi sia il dolo, anche generico, di volere diffondere ideologia”, con atteggiamenti “tali da porre in pericolo l’ordine democratico”. La semplice natura commemorativa di una manifestazione priva di “propaganda e volontà di diffusione di un’ideologia” non è sufficiente a configurare il reato.
Principio che era stato già nettamente sancito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 1 del 16 gennaio 1957 (estensore Enrico de Nicola) secondo la quale il reato di “apologia del Fascismo” non si configura quando l’apologia consista in una semplice “difesa elogiativa”, ma solo quando si concretizzi in un atto “idoneo ed efficiente” tale “da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista”.
Come mai proprio quest’anno, per la prima volta dopo decenni, la commemorazione dei caduti del Campo X sia diventata fatto idoneo ed efficiente alla ricostituzione del disciolto PNF, tanto da far vietare persino l’esposizione della bandiera nazionale, qualcuno lo dovrebbe spiegare.
In realtà una spiegazione ci sarebbe, senza scomodare né la storia, né l’etica né il diritto. Si chiama opportunità politica.
Proviamo ad immaginare cosa succederebbe se qualcuno (ad esempio i centri sociali tanto coccolati dal sindaco Sala) magari eccitato dalla cagnara dell’ANPI decidesse di scagliarsi contro la “provocazione fascista”, che Questura e Prefettura nonostante le richieste antifasciste non hanno vietato, creando scontri e incidenti magari gravi.
Apriti cielo: i tutori dell’ordine pubblico si troverebbero nell’occhio del ciclone, attaccati da tutte le parti, dovendo oltretutto rispondere ad un governo e ad un Ministro degli Interni di (vera) sinistra (peraltro una delle poche persone capaci del governicchio Gentiloni). Molto più semplice e comodo vietare a prescindere ed evitare problemi. I panni di Don Abbondio sono sempre comodi: questa manifestazione non s’ha da fare, né il 25 aprile né mai… intimano i bravi dell’ANPI e il Don Rodrigo Sala e così infatti è.
Pazienza se in questo modo per alcuni (ma tanto sono reietti e impresentabili) vengono limitati diritti fondamentali e viene impedito un semplice omaggio, cioè un atto di misericordia, a defunti che non possono più rappresentare un pericolo per nessuno e che dopo 72 anni, subita l’hegeliana violenza della storia, meriterebbero solo rispetto e pietà, non la dannazione fanatica della memoria.
Ecco perché, tornando al quesito iniziale, il veleno degli anni ’70, che poi è lo stesso della guerra civile, in realtà non è passato per tutti ed anzi si trova ancora chi, come il sindaco Sala, ci gioca pericolosamente, forse senza nemmeno rendersene conto.
Se poi sindaco ed autorità utilizzassero lo stesso inflessibile rigore affrontando i veri problemi della città nelle periferie degradate, contro l’immigrazione fuori controllo o nei confronti di chi, come i centri sociali e altri gruppi violenti, devasta quartieri, occupa abusivamente case popolari, tiene in ostaggio gli abitanti di intere vie Milano sarebbe, forse, un posto migliore.