Quando prima di partire per Damasco Monica Maggioni mi chiama per un parere a quattr’occhi sui temi dell’intervista a Bashar Assad il mio dubbio è uno solo. “Ma sei sicura che te la mettano in onda? “Beh non starò simpatica a tutti, ma un’intervista ad Assad è pur sempre una notizia”. L’ascolto e intanto mi chiedo se sto parlando con Alice nel Paese delle Meraviglie o con una Maggioni abituata da dal 1992 a calcare quei corridoi Rai dove rancori, voltafaccia e pugnalate alla schiena rappresentano il delizioso habitat quotidiano.

“Ma oltre a te chi lo sa?” “Salini, l’amministratore delegato”. Il dubbio a quel punto è più forte di me. “Ma i Direttori?” “Me l’hai insegnato tu se c’è di mezzo la sicurezza meno gente lo sa meglio è …”. Un paio di settimane dopo ecco l’ennesima, grottesca sceneggiata Rai. Monica Maggioni, unico giornalista italiano ad aver intervistato un Bashar Assad sopravvissuto a otto anni di guerra civile si ritrova in onda non sulla Tv di cui è stata Presidente, Direttore e inviato, ma su quella siriana. Non illudetevi. Non è stato un complotto per non far sentire la voce di Assad. Magari. Almeno parleremmo di politica e informazione.
La verità, assai più banale, è che in questa disgraziata Rai rancori e vendette personali contano assai più di notizie, scoop ed esclusive. Tutto il resto, sono balle. A cominciare da quella secondo cui il Direttore di Rai News non ha avuto il tempo di visionare il filmato. Un’intervista ad Assad fatta da un ex-inviato, ex Direttore, ed ex-Presidente non ancora affetta da manifesto Alzheimer si verifica e si trasmette in meno di un’ora. In Rai, non è bastata una settimana per trovarle una collocazione.

Il motivo è semplice. Tutti gli spazi disponibili erano già stati riempiti dalle secchiate di invidia, rancore e bile lanciate da quel comitato centrale dell’acrimonia e della poltroneria conosciuto come Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai. Un sindacato a cui non hanno mancato di associarsi molti dei Direttori in servizio a Viale Mazzini. Direttori da cui non s’è alzato un ditino per chiedere se l’intervista a Bashar Assad, al di là delle umane divergenze con un’autrice sicuramente non sempre amabile e disponibile, non rappresentasse uno scoop indegno di marcire in archivio.
In quest’universo livoroso lo scettro del conformismo spetta ad un TgUno, trasformatasi, dopo le elezioni del 2018, nel verbo a 5 Stelle. Ma neanche la conversione alle tesi di chi invitava a ribaltare il carrozzone della Tv di Stato è bastato a superare le beghe Rai. Nella stessa settimana in cui il ministro degli esteri Luigi Di Maio spiegava la necessità di dialogare con Bashar Assad il TgUno preferiva allinearsi con il resto della Rai e non farlo nemmeno ascoltare. Ma non è stata né indipendenza di giudizio né libertà d’informazione. E’ stata semplice e sciatta omologazione alle consuetudini di Viale Mazzini. Consuetudini così vincolanti da spingerli, per una volta, a contraddire anche il loro capo.