La nazionale italiana femminile di pallavolo è stata eliminata, in semifinale, da quella brasiliana: con onore. A differenza della patetica, imbarazzante, a tratti terrificante analoga rappresentativa calcistica, l’Italvolley femminile è, al pari di quella maschile, una gloria sportiva nostrana; entrambe però sono vittime della propaganda progressista. La stessa narrazione giornalistica che, per mera propaganda, pretende che la nazionale femminile di calcio sia prestigiosa almeno quanto, se non più, di quella maschile (la quale, al netto del recente offuscamento, è comunque una delle massime potenze del calcio mondiale), arrivando a infliggere alla RAI la presenza fissa dell’allenatrice Milena Bartolini e lanciandosi in proclami trionfalistici per le goleade rifilate a squadre meno che dilettantesche (lo 0-5 in Bosnia-Erzegovina sembrava un lungo sketch di Benny Hill) per poi far finta di nulla quando, incontrando compagini più serie e preparate, le si buscava (agli Europei della scorsa estate l’Italia è stata eliminata subito e pure malissimo, arrivando ultima nel girone del primo turno, perdendo 5-1 con la Francia, 1-0 col Belgio e pareggiando 1-1 con l’Islanda: ma chissenefrega, la Bartolini insegna calcio, la Bonansea è più forte di Ronaldo e la Giacinti è la reincarnazione muliebre di Maradona). Nella pallavolo invece si è creato il mito di Paola Egonu, sorvolando bellamente sul fatto che le prestazioni sottorete siano desolanti.
Nata in Veneto da genitori nigeriani, alta un metro e 90, tuttora militante in un club di Istanbul, la Egonu nel 2018 ha pubblicamente dichiarato di essere lesbica (la sua compagna è una collega polacca, Katarzyna Skorupa): si è così tramutata nel santino del politicamente corretto. Donna di successo, figlia di immigrati, gay: nulla di meglio per poter urlare a quanto sia preziosa e necessaria l’integrazione e blah blah. Buon pro le faccia.
Nulla contro di lei, nulla contro gli immigrati e la loro sacrosanta prole, nulla contro le lesbiche, nulla nemmeno contro le pallavoliste polacche, per carità. Paola Egonu non ha mai fatto del male a nessuno, nemmeno ai tifosi dell’Italvolley che quando la loro beniamina cicca le schiacciate colpendo il pallone col taglio della mano esultano manco avesse fatto quattro punti in un colpo solo. La vittima è una sola, il giornalismo televisivo italiano: che non è vittima né della Egonu, né della micidiale nazionale brasiliana di volley, né delle banalità della Bertolini, né della Giacinti che, bontà sua, qualche volta i tiri li azzecca pure (che, per un’attaccante – ho messo l’apostrofo così la Boldrini avrà le sue crisi isteriche, ma non per colpa mia – della Roma, è pure un miracolo). Perché se una pallavolista sbaglia tre colpi (a partire dal primo punto, giusto per mettere in chiaro sin da subito l’andazzo) per uno giusto, e i cronisti RAI per tutta la partita continuano a dire che è la sola giocatrice decente in campo, e tutto questo soltanto per stare proni alla retorica “woke” di gente come Cazzullo e Gramellini, significa che in viale Mazzini cose come l’onestà intellettuale sono state allegramente mandate in soffitta.
Ci sarebbero pure altre vittime: le povere cretine che sin da bambine si allenano ogni giorno che l’Altissimo manda in terra, ma chissenefrega, la meritocrazia è stata abolita nel ’68, se ne facciano una ragione. Oppure dicano di essere “non binarie”, un cartone animato da doppiare e una stagione delle Iene da condurre li si trova pure per loro.