Sulla prima pagina del Corriere della Sera di ieri, domenica 28 giugno, campeggia il rimando a un’intervista di Aldo Cazzullo a Franca Valeri. Il titolo, sia del taglio alto in prima pagina, che dell’intervista (distribuita su due pagine interne), cita “Franca Valeri: vidi il Duce morto – non provai pietà, avevo sofferto”.
Eppure, la testimonianza del fattaccio di Piazzale Loreto occupa soltanto un capoverso di un’intervista distribuita, come già detto, su due paginoni. Franca Valeri, una delle intoccabili dello spettacolo in Italia, ha diritto alla sua (inelegante) opinione. Le leggi razziali restano una vergogna, non c’è bisogno di essere Fiano per dirlo. Furono un tradimento nei confronti d’una comunità che contribuì, anche dando il proprio sangue, all’ascesa del regima fascista. Si direbbe che una signora anziana possa maturare un sentimento più pietoso nei confronti d’un avversario che comunque ha pagato le sue colpe, ma così non è. Non critichiamo Franca Valeri, soprattutto perché è vietato. A me sembra solo una Tina Pica più pretenziosa e meno simpatica, ma non capisco niente.
Il problema dell’articolo, e del titolo, è un altro. Franca Valeri che si ostina a svilire un cadavere pubblicamente umiliato settantacinque anni fa è crudele e volgare, ma ha i suoi motivi e il suo vissuto. Che un’intervista condotta da Aldo Cazzullo, degno collega di Beppe Severgnini, compaia come titolo questo unico episodio, sorvolando su tutti gli altri fatti riassunti in un’intervista piuttosto lunga e che comunque si riferisce a una vita di cent’anni e a una carriera piuttosto ricca, è significativo. Cazzullo non perde occasione di ribadire odio per l’Italia (è pur sempre colui che riduce la Prima Guerra Mondiale a Caporetto, pur di negare che l’Italia ha vinto il conflitto) e per il fascismo (massima vergogna nazionale, da demonizzare ogni qualvolta se ne presenti un pretesto; e qualora questo non capiti, lo si inventi); Severgnini è colui secondo il quale l’Italia non dovrebbe esistere, e andrebbe ridotta a provincia dell’Unione Europea, zittendo qualsiasi opposizione (e fra queste, ci sono i “fascisti”). Il decadutissimo “Corriere della Sera” (per non dire di “Sette”, l’ormai orripilante inserto settimanale: la fiera del qualunquismo) è pur sempre la testata che ospita, spesso e volentieri, le lezioni di Luciano Canfora: l’esimio professore che quasi un mese fa, ospite di Andrea Purgatori su La7, è riuscito a sentenziare che “la base del fascismo è il razzismo”. Con buona pace del fatto che né a San Sepolcro nel 1919, né verso Roma nel 1922, del razzismo importava qualcosa a qualcuno. O Canfora non sa di cosa parla, o lo sa e ha deliberatamente proferito una falsità: con buona pace del suo ruolo di docente e di quello di divulgatore (nonché delle sue solite pretese messianiche).
L’informazione europeista, alla Cazzullo e Severgnini, è questo: dozzinalità, falsità storiografiche, riduzionismi, e tantissimo odio verso il “nemico”.