Quattro anni dopo la sua netta sconfitta alle presidenziali, Marine Le Pen è nuovamente al centro del dibattito politico francese e pregusta il prossimo round con un appannato Emmanuel Macron. «La differenza con il 2017 è che nel 2022 posso vincere», afferma sventolando i sondaggi che da settimane la danno in vantaggio al primo turno (con una forbice tra il 28 e il 30%) sull’attuale inquilino dell’Eliseo, impantanato attorno al 25-27%. Rimane, ovviamente, l’incognita del secondo turno, il vero incubo dei Le Pen che mai hanno dimenticato il 2002 quando Jacques Chirac trasformò il finale della campagna elettorale in una vera e propria crociata mediatica contro il babbo Jean Marie — divenuto subitamente “l’impresentabile”, il “mostro facho” etc.— per poi schiacciarlo con un massiccio 82, 21%. Un gioco al massacro puntualmente riproposto nel 2017 e conclusosi con un robusto 66,1% per Macron contro l’appena onorevole 33,9 della bionda signora.
Ma in questo quadriennio molta acqua è passata sotto i ponti della Senna e i numeri (e le teste) incominciano a ballare. Tutti i sondaggisti prevedono — sempre che Macron riesca a recuperare due-quattro punti nell’elettorato delle sinistre — un “testa a testa” all’ultimo voto. Un dato tutt’altro che scontato poiché, assieme alla crescita impetuosa dell’astensionismo, soltanto il 30 % dei sostenitori del gauchiste Jean Luc Méchelon, il 44 degli elettori socialisti e il 37 degli ecologisti immaginano di votare per l’attuale presidente.
Scenari che sconfortano Jacques Attali, nume storico del socialismo esagonale, che ha dichiarato tutte le sue angosce: «Se devo oggi fare un pronostico vedo a maggio prossimo Marine Le Pen all’Eliseo. Ormai assomiglia sempre di più, fatte le debite proporzioni, a François Mitterrand». Una frase per nulla casuale. Anzi. Come Attali anche Cécile Prieur, direttrice del molto sinistroso settimanale “L’Obs”, ha paragonato la leader del Rassemblement national al presidente socialista eletto quarant’anni: «Paradossalmente l’antico slogan mitterandiano ”La forza tranquilla” potrebbe essere tranquillamente ripreso dalla Le Pen. Ciò che pareva impossibile oggi è realtà: in Francia l’estrema destra è alle porte del potere».
Ovviamente le cose sono più complesse, ma il paesaggio politico transalpino è ormai polarizzato, come ben sintetizza l’analista Jèrome Sainte Marie, su due visioni opposte e simmetriche: «Da una parte le classi popolari, gli operai e gli impiegati radicalmente schierati, come nemmeno ai tempi del potente PCF, con la Le Pen. Dall’altra i ceti beneficiari della globalizzazione». Un’analisi condivisa dalla stessa Marine: «Dietro la frattura tra globalisti e nazionali, c’è il blocco elitario che ha approfittato della globalizzazione e il blocco popolare che vuole protezione».
Ma vi è dell’altro ancora. Al di là delle facili schematizzazioni e dei ritualismi, in questi anni il partito lepenista ha intrapreso con decisione e qualche ferita (molti ultrà hanno abbandonato e non sono mancate le accuse di tradimento…) un percorso di “normalizzazione” istituzionale. Oltre ad archiviare la vecchia sigla del Front national (e il suo linguaggio obsoleto), i vertici hanno dato avvio ad un “nuovo corso”. Basta perciò con l’anti europeismo viscerale, con l’ossessione dell’Euro e largo spazio ai temi della sicurezza e della laicità (in un dibattito su France2 Marine ha letteralmente schiantato il ministro degli Interni Darmanin) e, dato inedito, molta attenzione all’ambiente con un programma stilato da Hervé Juvin, un raffinato intellettuale che pubblica per Gallimard e scrive per le riviste di Alain de Benoist.

La chiave di questa inedita “force tranquille” è però il dialogo sempre più stretto con segmenti importanti dello “Stato profondo”, la nomenklatura che da Luigi XIV ad oggi regge e decide le sorti dell’Esagono. In occasione delle elezioni regionali di oggi e domenica prossima giugno — un appuntamento centrale che ogni sei anni riguarda tutte le 13 maxi regioni metropolitane — l’entourage ristretto di Marine si è impreziosito di nomi importanti tra cui Yves Bonnet, già capo del controspionaggio, e l’ex potentissimo prefetto Christophe Bay, il regista della prossima campagna presidenziale. Acquisizioni e riconoscimenti che hanno infine convinto Les Répubblicains post gollisti, ammaccati ma sempre presenti, a rompere la diga anti lepenista di chirachiana memoria e guardare verso destra con un esperimento nel Lot-et-Garonne dove sono presenti liste comuni. Un primo passo, come conferma Guillaume Peltier, giovane vice presidente del Lr: «Marine non è la nemica, il vero nemico è l’Islam politico»; al duello finale del 2022, Peltier non ha dubbi «la nostra posizione è chiara: nessun voto per Macron».
Un riallineamento delle alleanze che potrebbe persino accelerarsi se il Rn si affermasse alle regionali. Gli ultimi sondaggi danno i lepenisti in testa nell’Est (32%), in Borgogna (28%), nella Val de Loire (29%), in Occitania (31%), in Bretagna (20%) e, soprattutto, nella popolosa e ricca Provenza Costa Azzurra (41%), l’obiettivo più ambito. Qui a guidare la lista “mariniste” c’è Thierry Mariani, un nome pesante, pesantissimo. Già deputato di lungo corso ed ex ministro con Sarkozy, questo figlio di immigrati abruzzesi ha rappresentato l’ala “ortodossa” del gollismo fino alla clamorosa rottura con il suo partito nel 2018 e l’elezione nelle liste del Rn in Europa. Mariani, uomo di potere e di relazioni, ha portato in dote alla signora contatti importanti in Francia e all’estero ed è il nome ideale per svuotare i residui serbatoi elettorali dei moderati nel Meridione di Francia. Se, come probabile, diverrà il primo presidente regionale nella storia del Rn, per Marine la strada verso l’Eliseo diverrà decisamente più agevole.