Sanzioni, un’arma spuntata? C’è grande discussione e molta enfasi sull’assedio sanzionatorio – qualcuno coglie vecchi echi? – posto in queste settimane alla Russia. Il rigore di Washington, che poco influisce sull’economia statunitense, è stato sostanzialmente sostenuto in maniera compatta dai Paesi europei, oltre che dal blocco dell’anglosfera e dai partner asiatici degli Usa. Con non pochi sacrifici, in particolare per le economie europee, costrette a fare i conti con la dipendenza dalle fonti energetiche russe e, elemento spesso trascurato, caratterizzate da un solido interscambio commerciale con Mosca, spesso in altri settori strategici oltre quelli di gas e petrolio. A dispetto delle ricadute negative sulle economie domestiche, i leader europei appaiono determinati a proseguire nella linea del rigore, senza escludere misure ancora più stringenti. Costi quel che costi, è davvero il caso di dire.
Allargando lo sguardo – soprattutto provando ad osservare la scena da una prospettiva meno euro-americana – il blocco sanzionatorio presenta ampie crepe. In particolare i Paesi che rappresentano le economie emergenti – riuniti sotto la sigla Brics – non sembrano per nulla intenzionati a seguire la strada delle sanzioni. E se non tutti esprimono posizioni dure come quella del presidente sudafricano Ramaphosa, secondo cui «la guerra poteva essere evitata, se solo l’Alleanza Atlantica avesse ascoltato gli avvertimenti dei suoi stessi funzionari nel corso degli anni: l’espansione verso est avrebbe portato a una maggiore, non minore instabilità nella regione», sono però netti nel rifiutare di interrompere i legami commerciali con Mosca.
Scelta che se era scontata per la Cina – che con la Russia ha rinsaldato i suoi legami anche su un piano politico-militare – lo era meno per Paesi come il Brasile, il Sudafrica o l’India. Quest’ultimo Paese sta persino lavorando alla creazione di un sistema di interscambio basato su rubli e rupie, eliminando il dollaro. Sulla falsariga di quanto stanno facendo Cina e Russia. Una soluzione che potrebbe interessare anche altri.
Accanto ai Brics anche altre nazioni sembrano poco attratte dall’adesione al sistema delle sanzioni, a dispetto delle forti pressioni esercitate da Washington. Ad iniziare dalle monarchie del Golfo, al momento schierati su una posizione di prudente equidistanza. Su questo fronte è bene notare che accanto ad una comunanza di interessi economici in quanto produttori di petrolio, Russia e monarchie arabe del Golfo hanno stretto nel corso degli ultimi anni solidi legami anche nello strategico settore della difesa. Legami che al momento nessuno sembra interessato a spezzare, ad iniziare dall’Arabia Saudita. Storico alleato di Washington durante la guerra fredda, oggi il regno dei Saud ha nella Cina il primo cliente delle proprie esportazioni petrolifere e solidi rapporti con Mosca, incluso un recente accordo militare sui cui reali contenuti ci sono ben poche informazioni.
In definitiva, forse è ora di iniziare a guardare ad uno scenario mondiale in cui gli Stati Uniti restano sì (per quanto?) la principale potenza – l’unica globale -, ma su cui si muovono attori in forte crescita, portatori di un’agenda che in pochi punti, se non addirittura nessuno, coincide con quella di Washington, a cui gli europei continuano invece ad allinearsi anche quando è in evidente contrasto con i propri interessi. Da tempo la Regina Vittoria non è più Imperatrice d’India.