Per colonialismo si intende, per lo più, la politica della conquista, e dello sfruttamento dei territori e delle sue risorse sia materiali che umane. Gli storici sono soliti dividere il colonialismo in tre epoche diverse. Il colonialismo antico, il colonialismo moderno e la fase della decolonizzazione che in realtà viene considerata un neocolonialismo o colonialismo indiretto e che dal XXI secolo si è ulteriormente trasformato in forme più accentuate di sfruttamento dei territori e delle sue risorse, e più disperate per i nativi dei Paesi soggetti al colonialismo che hanno costretto, secondo numerosi studiosi del fenomeno, per lo più contadini e pastori ai quali sono state sottratte le loro terre, ad intraprendere la strada della migrazione nei Paesi europei.
Il colonialismo moderno inizia nel XV secolo con la scoperta dell’America e si espande a livello mondiale fino a raggiungere, nel 1914, l’85% del territorio mondiale sotto varie forme di controllo, tra cui protettorati, domini, possedimenti. Non è un caso che gli storici considerano il colonialismo moderno la prima forma di globalizzazione. Non si tratta solo di un dominio politico, a volte militare, economico, ma anche culturale a tal punto che alcuni storici arrivano a marchiare i popoli dell’Africa “senza storia”.
Mentre lo scrittore e poeta inglese, Joseph Rudyard Kipling definì “il fardello dell’uomo bianco” ovvero “il compito” di portare la civiltà europea al mondo intero perché veniva considerata superiore rispetto a quella dei “popoli selvaggi”.
Nel XIX secolo il colonialismo si è ulteriormente sviluppato. Sono state create piantagioni mono colturali, aperte miniere, è stata creata ed è tutt’ora in atto, una politica della deforestazione con gravi conseguenze sul clima. Nel corso degli anni, in molti Paesi specie dell’Africa, a causa delle politiche attuate da altri Paesi e da molte multinazionali sono scomparse le attività locali legate al territorio e quindi alle tradizioni.
Nella seconda metà del XIX secolo inizia ancora una nuova fase, l’ultima fase storica del colonialismo, che possiamo definire classico, che si sviluppa ulteriormente con l’abolizione del protezionismo doganale e l’inizio del libero scambio. Dopo la seconda guerra mondiale inizia la fase della decolonizzazione che terminerà negli anni ‘70 .
Questa pratica viene considerata più disastrosa per i Paesi decolonizzati. Di fatto, attraverso la complicità di governi corrotti o deboli che guidavano i Paesi decolonizzati e con la corruzione delle classi dirigenti locali, fu applicata la forma del colonialismo indiretto che consisteva nello sfruttamento economico dei territori e della mano d’opera a basso costo e senza tutele.
In sostanza, secondo alcuni storici, il colonialismo non ha mai avuto fine. Semplicemente cambia volto, si evolve , si adegua alle necessità del periodo storico in cui vive, utilizza strategie e mezzi sempre più sofisticati e paradossalmente meno pericolosi, meno costosi rispetto alle ricchezze finanziare che vengono accumulate, soprattutto dalle multinazionali, e che diventano sempre più consistenti.
Il sociologo peruviano Anibal Quijiano ha scritto un libro intenso dal titolo significativo: la colonialità del potere”.L’autore nel libro sostiene che la colonialità è più duratura e profonda del colonialismo. La colonialità si basa sulla dipendenza economica e di conseguenza sul dominio politico. Non c’è bisogno di altro.
Ma cosa è successo nel secolo che stiamo vivendo? Il colonialismo ha assunto un’altra veste.
Attraverso il land – grabbing cheletteralmente significa “accaparramento di terra” , ma c’è chi lo definisce “furto di terra”, vengono venduti o affittati terreni a multinazionali, a Fondi di investimento e a Governi di altri Paesi. Quest’ultimi, in particolare li coltivano per le loro necessità alimentari, sottraendoli alle comunità locali a loro insaputa.
La coltivazione di quei terreni accaparrati ha incrementato forme intensive e mono colturali per lunghi periodi per produrre tabacco, Jathropa, una pianta sconosciuta, che a sua volta serve per produrre biocarburante, legnami di interesse commerciale o si installano allevamenti altrettanto intensivi.
Questa forma di monocoltura intensiva provoca (https://pulitzercenter.org/reporting/land-grabbing– worsens- climate-change ) lunghi periodi di siccità, la modifica delle stagioni agricole, poca pioggia e il collasso delle piantagioni. Un fenomeno che viene definito in lingua ronga: Kutxintxa ka N’guva, cambiamento climatico.
Il prezzo che le multinazionali pagano per un contratto di affitto di terreni agricoli è pari a circa 2,5 euro per ettaro(https://www.focsiv.it/pubblicazioni/i-padroni della – terrarapporto- sull’accaparramento -della terra -2019). Il potere di acquisto dei Paesi poveri o in via di sviluppo non può competere con quello dei Paesi e di altri soggetti investitori provvisti di grandi risorse finanziarie.
Secondo il rapporto della FOCSIV, (la Federazione degli organismi cristiani servizio internazionale volontario)“I Padroni della Terra”, i milioni di ettari di terra oggetto di accaparramento, in appena tre anni, sono passati da 68 milioni di ettari a 93 milioni di ettari nonostante o a causa della pandemia da Covid 19 . Di questi si calcola che almeno 25 milioni di ettari vengono utilizzati per l’estrazione mineraria di sostanze varie tra cui 17 metalli essenziali per l’industria tecnologica ed elettronica. Ed è lo stesso rapporto della FOCSIV che sostiene che i “Padroni della Terra feriscono ambiente e diritti umani”.
Tra i Paesi che hanno accaparrato i terreni di altri Paesi , secondo i dati del 2021 spicca al primo posto la Cina con 14,2 milioni di ettari, segue il Canada con 10,9 milioni di ettari , Stati Uniti con 9,5 milioni di ettari, Gran Bretagna con 9,2 milioni di ettari, Malesia con 4,1 milioni di ettari. Tra gli altri Paesi che hanno accaparrato le terre in altri Paesi, tra cui in Etiopia, “ex” colonia italiana, ci sono anche aziende italiane private e l’ENI che è una società a partecipazione pubblica.
Secondo gli ultimi dati disponibili del 2021, l’Italia è arrivata ad accaparrarsi circa 1.8 milioni ettari di cui 500.000,00 ettari nella sola Gabon, 310.000,00 in Liberia e 255.000,00 in Camerun.L’Africa è il primo continente con il maggior numero di Paesi che hanno subito l’accaparramento dei terreni seguita dall’America Latina; ma c’è anche l’Europa Orientale tra cui la Russia.
Un rapporto di Land Matrix 2018 ci ricorda che i contratti di acquisto o affitto di terra nel mondo sono circa 2.500 che riguardano gli investimenti in agricoltura, investimenti nello sfruttamento delle foreste, per la realizzazione di zone industriali, per la sfruttamento di miniere. Lo sfruttamento delle terre accaparrate vengono prese in affitto, attraverso regole tradizionali locali prive di valore giuridico, senza accordi internazionali, per periodi medio lunghi che oscillano tra i 30 e i 99 anni e anche rinnovabili o vengono acquistate.
C’è un aspetto che trovo particolarmente incomprensibile. Lo sfruttamento di quelle terre accaparrate vengono prese in affitto, attraverso regole tradizionali locali, priva di valore giuridico e non attraverso accordi internazionali, per periodi medio lunghi che oscillano tra i 30 e i 99 anni e anche rinnovabili o vengono acquistate. Le multinazionali, i Fondi di investimento e i Governi dediti al land- grabbing cosa faranno quando quelle terre non potranno più essere sfruttate? Forse pensano che il Pianeta abbia risorse infinite?
Anche la Banca Mondiale, finanzia quei progetti e l’Organizzazione Oxfam (htpps// www..oxfamitalia.org//scandalo- land-grabbing/) ha chiesto alla stessa Banca Mondiale, nell’ottobre 2011, di sospendere quei finanziamenti necessari per l’accaparramento dei terreni perché quelle compravendite e quegli affitti,sono prive di qualsiasi regola che possa servire alla tutela della parte correlata cioè di ogni singolo Paese dell’Africa.
La Banca Mondiale non ha accettato di sospendere quegli investimenti ma si era impegnata a combattere il land-grabbing ma (https//www.africarivista.it) continua a sostenere il fenomeno (https//www.africarivista.it) del land-grabbing finanziando i progetti di acquisto e di affitto di terreni nelle forme che conosciamo.
Inoltre la Banca Mondiale da lungo tempo fornisce assistenza tecnica, contributi a fondo perduto e finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo ma in cambio la stessa istituzione condiziona quei Paesi nelle scelte commerciali, industriali, di difesa. Si tratta di sovranità limitata o ancora di un’ “indipendenza di bandiera” come sostiene qualcuno?
(https://blog.Ise.ac.uk/africaatlse/2017/11/15/lets-talk-about-neo-coloniasm-in-africa)
L’ Unione europea con l’ EIP (Esternal Investment Plan) finanzia gli investimenti in Africa, ma i risultati sembrerebbero non coincidere con gli obiettivi prefissati dal piano.
Ci sono altri aspetti che non vanno sottaciuti e sono di diversa natura.
Consistono nel diritto di imporre provvedimenti monetari e fiscali , di vincolare gli aiuti a politiche economiche anche con la presenza in loco di esperti e consulenti al fine di mantenere il deficit e il debito di quei Paesi in via di sviluppo stabile con una serie di misure che vengono definite “aggiustamenti strutturali”. Senza che le comunità locali vengano coinvolte. E sono prive di qualunque garanzia.
La conseguenza di queste misure è la riduzione della crescita dei consumi e dello sviluppo.
Ricordo fin dagli anni ottanta che i costi che sostengono i Paesi in via di sviluppo sugli aiuti che ricevono, spesso sono talmente alti che assorbono buona parte degli aiuti stessi anche a causa di contratti “capestro” che prevedono ,tra l’altro, interessi speculativi.
Alcune multinazionali, attraverso la pratica del trade mispricing, cioè dei prezzi manipolati, artificiosi, fraudolenti sui beni e servizi, non hanno versato tasse, attraverso forme di elusione, ai Paesi dell’Africa, nell’arco di circa 15 anni, per circa 60 miliardi di dollari. Se le somme dovute fossero state pagate molti Paesi africani avrebbero risolto il problema del debito estero e comunque la loro situazione economica e sociale sarebbe certamente migliore.
Una domanda sorge spontanea: l’Africa è povera o si tratta semplicemente di un luogo comune mentre nella realtà l’Africa è resa povera?
Non mancano certo esempi lodevoli da parte di molti Paesi europei e di Organizzazioni Internazionali.
In Italia è stato presentato in questi giorni, al Ministro della Salute e della Solidarietà, il progetto dal titolo “Progetto Sanità Italia – Ciad: Formazione e innovazione tecnologica AID 12582” ed è finanziato dall’Aics ( Agenzia italiana per la cooperazione allo Sviluppo) guidato dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata affiancata dalla Fondazione Magis una ONG dei Gesuiti e dall’Istituto per i Sistemi Biologici del Centro Nazionale delle Ricerche.
Ma “la colonialità del potere”potrà essere sconfitta? E in che modo? Certamente si. Gli strumenti sono noti. I Paesi post colonizzati devono acquisire il concetto di Nazione,devono scoprire o riscoprire il concetto di Stato, devono abbandonare il pensiero globalista impostogli spesso senza avere una coscienza di quello che gli stavano imponendo. Debbono riscoprire le loro specificità nazionali e territoriali con una forte coesione sociale e culturale. Certamente all’inizio dovranno affrontare sacrifici materiali e fisici ma lo scopo per il quale combatteranno in maniera pacifica è quello di una rivoluzione profonda e continua che potrà essere raggiunta.
Alcuni esempi ci portano ad essere ottimisti e a sperare in un’Africa più indipendente economicamente , più eco sostenibile, più sviluppata sia economicamente che socialmente e ci fa comprendere che “esiste un’Africa plurale”.
E’ interessante a tal proposito ricordare il giornalista e scrittore,Marco Valle che nel suo breve libro pubblicato di recente Il futuro dell’Africa è in Africa, cita alcuni progetti che lasciano ben sperare sul futuro dell’Africa: la promozione dei “corridoi intermodali continentali”, su iniziativa sud africana; gli otto grandi progetti di navigazioni tra il Lago Vittoria e il Mediterraneo su iniziativa dell’Egitto; la costituzione di una Smart Africa Project in Ruanda; il corridoio stradale e ferroviario Nord – Sud che va dalla Tanzania al Sudafrica; il gasdotto tra Nigeria e Algeria.
E c’è dell’altro. E’ stata approvato nel 2007, per esempio, ed è in corso di realizzazione, anche se non è privo di ostacoli, il progetto della Great green wall che prevede la realizzazione di una “grande muraglia” verde lunga ottomila chilometri che interesserà 11 Paesi.
Come ci ricorda l’autore del libro, negli ultimi decenni stiamo assistendo al fenomeno inverso anche se molto cammino resta da percorrere. Alcuni Paesi africani, per esempio, hanno ripreso a sviluppare le proprie tradizioni e le attività locali. Secondo alcuni economisti come ricorda lo stesso autore del libro “la svolta decisiva verrà impressa dall’African Continental Fire Trade Area( AfCFTA) ovvero la maxi area di libero scambio promossa dall’Unione Africana che riunisce tutti i Paesi ad eccezione dell’Eritrea: un bacino di 1,2 miliardi di persone e un Pil complessivo che si aggira sui 3.400 miliardi di dollari.”.
Insomma molto del futuro dell’Africa dipenderà dallo sviluppo e dal potenziamento dello scambio commerciale tra i Paesi stessi dell’ Africa.
Marco Valle,nel suo libro cita il presidente del Ghana, Nana Akufo – Addo: “ la “nuova Africa” per diventare davvero autonoma deve superare i limiti della dipendenza dall’esterno e velocizzare l’integrazione economica”.
Vale la pena concludere ricordando il poeta Lèopold Sèdar Senghor presidente della Repubblica del Senegal dal 1960, anno della proclamazione dell’indipendenza, al 1980, che in quegli anni fece riscoprire la negritudine ovvero il complesso dei valori della tradizione negra.