Prima il ministro della difesa von der Leyen, poi la cancelliera Merkel quindi il presidente Gauck hanno lanciato lo stesso messaggio: la Germania deve tornare ad impegnarsi di più negli scenari di crisi mondiali partecipando alle missioni militari internazionali. Perché questa svolta?
Lo chiediamo a Germano Dottori, docente di studi strategici alla Luiss, che alla politica di sicurezza tedesca ha dedicato anni fa un volume
Ho l’impressione che la politica estera tedesca stia cambiando profondamente, sia negli orientamenti che negli strumenti contemplati per perseguire gli interessi nazionali. Colpisce, in effetti, che il Presidente Federale, la Cancelliera, il Ministro degli Esteri e quello della Difesa siano concordi nell’affermare che Berlino dovrà in futuro essere maggiormente presente sui teatri di crisi. Dicono alla loro opinione pubblica ed alla comunità internazionale che la Repubblica Federale non si limiterà semplicemente a contribuire più spesso alla soluzione dei conflitti che insanguinano il mondo, ma lo farà in modo tale da essere tendenzialmente decisiva. E questo accade proprio mentre il Governo tedesco ribalta la sua politica verso l’Est Europa, distanziandosi dalla Russia e sostenendo la causa dei movimenti filo-europei che protestano contro Ianucovich in Ucraina. La vera novità è un’altra: nessuno chiede le dimissioni dei politici che hanno parlato in modo così esplicito. Non fu così nel maggio 2010, quando il Presidente Horst Köhler dovette dimettersi per aver detto che l’Esercito tedesco avrebbe dovuto proteggere gli interessi economici della Repubblica Federale.
Negli ultimi anni la Germania aveva preferito una linea non interventista: aveva mandato uomini in Afghanistan, ma non in Iraq, in Libia, in Siria e In Mali. Secondo lei perché quelle scelte?
Non è del tutto esatto. Ci sono stati politici, in Germania, che hanno invocato politiche fortemente interventiste sotto il profilo militare anche negli anni novanta. Non solo conservatori come Volker Rühe. Penso invece soprattutto a Joshka Fischer, ecologista e ministro degli esteri, che fu in prima fila nel chiedere di fare della Bundeswehr una forza da proiettare all’estero in difesa dei diritti umani. Correva l’anno 2000 e pesava l’esperienza del Kosovo, che aveva visto caccia della Luftwaffe in azione contro Milosevic. In realtà, soldati, navi ed aerei tedeschi operano da tempo all’estero. Hanno in effetti cominciato a muoversi già venti anni or sono. Pochi se ne sono accorti, perché Governo e Forze Armate della Germania dovevano esser prudenti, per tener conto della giurisprudenza della Corte suprema di Karlsruhe ed evitare reazioni interne di rigetto. La Bundeswehr scese in Somalia, ad esempio, portandoci anche dei carri armati. Ripromettendosi tuttavia di non usarli. Una volta, una loro colonna di Leopard dovette attraversare Mogadiscio: malgrado fossero potentemente armati, i tedeschi chiesero al nostro contingente di scortarli, proprio perché non dovevano sparare. Il nostro generale Loi rispose assegnandogli due jeep! La Bundeswehr è stata sottoposta a regole d’ingaggio fortemente restrittive anche in Afghanistan, dove pure il contingente tedesco è ancora il terzo per consistenza, dopo quelli statunitense e britannico.
Quale potrà essere a suo avviso la reazione degli altri Paesi, soprattutto quelli europei?
Il fatto che la Germania recuperi sovranità anche nella sfera politico-militare certamente genererà inquietudini ed il momento non è già di suo tra i più propizi, se si considerano i forti risentimenti che il rigore di marca tedesca ha generato contro la Repubblica Federale e persino contro il processo di integrazione europea, in realtà pensato soprattutto come un antidoto al risorgere dell’unilateralismo della Germania. Immagino che a preoccuparsi maggiormente saranno tuttavia i francesi e probabilmente i russi, specialmente adesso che a Kiev i tedeschi danno l’impressione di voltare le spalle a Mosca, abbracciando la causa dei nazionalisti ucraini che vogliono entrare in Europa. Non sottovaluterei la reazione americana. Tra Obama e la Merkel non è mai corso buon sangue ed il protagonismo della Germania sul fronte ucraino ha probabilmente posto in imbarazzo Washington, costringendo l’America ad inseguirla nel sostegno alle opposizioni antirusse.
Cosa potrebbe significare un ruolo più forte della Germania in ambito Nato?
Non è affatto detto che una Germania più forte e sovrana anche sotto il profilo militare sia utile all’Alleanza Atlantica. Lo sarà solo se gli interessi nazionali tedeschi saranno identici, complementari o almeno compatibili con quelli degli Stati Uniti. Un fatto tutt’altro che certo. Sono già stati molti i dossier e le crisi che hanno diviso Washington e Berlino. In ogni caso, la solidità della Nato poggia sull’accettazione della leadership americana: se la Casa Bianca non vuol più esercitarla o i tedeschi la contesteranno nei fatti, ci saranno problemi.
I tagli alla difesa e la riduzione del contingente militare possono aver pesato sulla scelta non interventista?
Il rapporto è normalmente l’inverso. Si taglia sulle spese militari quando si pensa di non aver bisogno di utilizzare le Forze Armate. In Europa è diffusa la convinzione che si possa condurre una politica estera del tutto smilitarizzata. Ma è un’illusione. Non c’è praticamente un Paese europeo che non abbia dovuto inviare i propri soldati all’estero qualche volta negli ultimi venti anni. Sono momenti. Anche dopo le guerre napoleoniche, gli apparati militari si contrassero sensibilmente per decenni. Non penso che rivedremo i grandi eserciti di massa del passato: non esiste più neanche la base demografica per crearli. Ma non si disarmerà. E si punterà sempre di più sulla tecnologia. Come potremmo fare altrimenti?
A novembre Die Zeit aveva posto la questione se per la Germania non fosse arrivato il momento di rivedere le sue posizioni antimilitariste. Jochen Bittner aveva scritto: «Sembra non esista nulla in grado di spingere il governo tedesco a considerare un intervento militare: non un’evidente base legale, non un riconosciuto interesse di sicurezza, neppure un ovvio dovere morale» : Pensa che quest’intervento – rilanciato dal NYT – possa aver avuto un peso?
Non condivido particolarmente questa lettura! Io sono persuaso che da almeno due decenni una parte dell’élite tedesca lavori alla normalizzazione della politica estera della Germania, che è una grande potenza a tutti gli effetti. Il problema è stato finora il grado di condivisione di questa visione. Le reazioni dei prossimi giorni ci diranno quanto è effettivamente cresciuto.
Il tema della partecipazione dei soldati tedeschi a operazioni militari internazionali rimane particolarmente controverso nel dibattito pubblico tedesco, tanto dal punto di vista dell’opportunità politica quanto da quello della legittimità costituzionale. Secondo lei i tedeschi come accoglieranno un eventuale politica interventista?
E’ la vera incognita. Molte volte ci sono stati dei tentativi di strappo in avanti, che si sono arenati di fronte alle reazioni dell’opinione pubblica ed alcuni settori del sistema politico. Questa volta, tuttavia, constato che parlano all’unisono esponenti della Cdu e dell’Spd. Ancora non conosciamo, però, l’opinione dell’uomo comune. Che resta decisiva anche in tempi di Grosse Koalition.
La Germania è il terzo esportatore di armi al Mondo, in un momento di crisi economica mondiale questo può influire?
Non credo. E’ però interessante che la Repubblica Federale non abbia voluto partecipare al programma per la produzione dell’F-35 e non paia per ora neanche intenzionata ad acquistarlo. Mi pare un segno evidente della volontà tedesca di sostenere l’Eurofighter, aereo che produciamo con loro, e soprattutto conservare una certa autonomia dagli Stati Uniti. E’ un tema che si è affacciato anche da noi, malgrado si tenda poco nel nostro Paese a pensare in termini strategici.
Isabella Villa, Il Secolo XIX – 2 febbraio 2014