Il 2020 non poteva iniziare peggio. Il 3 gennaio, nella capitale irachena Baghdad, è stato assassinato (non trovo altro termine per definire l’atto), Qasem Soleimani, generale iraniano, considerato in patria un eroe, e molto vicino alla Guida Suprema Khamenei. Un terremoto che potrebbe destabilizzare pericolosamente tutto il Medio Oriente con conseguenze economiche e militari inimmaginabili. Stando alle notizie ufficiali, il Presidente USA Donald Trump (il presunto isolazionista), avrebbe preso unilateralmente la decisione di sferrare l’attacco. Senza consultare il Congresso, senza consigliarsi con la Nato, e senza avvertire gli alleati. Un uomo solo al comando, Trump, che decide di attaccare.

Questo dovrebbe anche farci riflettere (a destra), sulle insidie dei sistemi “presidenziali”. Un atto di guerra? Quando la guerra aveva ancora una sua “nobiltà”, prima di sferrare un attacco, lo si annunciava con una dichiarazione di guerra, fissando un ultimatum. Ma siamo nel mondo moderno, tempi di “guerre preventive”, dove per uccidere un uomo, si usa un drone (aereo privo di pilota), per non correre neppure il pericolo di restare a sua volta uccisi. La tecnologia contro l’umanità.
Secondo le fonti ufficiali Soleimani stava preparando un attacco terroristico, e quindi Trump avrebbe deciso di attaccare per primo. Sono un romantico, un idealista, un nostalgico di quel mondo in cui ci insegnavano che chi attacca, è l’aggressore e chi subisce l’attacco, è la vittima. L’ipocrisia delle liberaldemocrazie ha rovesciato l’assioma: occorre colpire prima d’esser colpiti. Ovviamente che Soleimani avesse realmente intensione di compiere un attacco terroristico contro obiettivi USA o occidentali, non ne abbiamo uno straccio di prova, dobbiamo semplicemente fidarci della “parola data” da Trump, che giacché è il leader di una nazione democratica, è anche “buono” e come tale, non può mentire.
Invece, noi ci permettiamo di nutrire dubbi sulla veridicità di questa tesi; vorremmo che anche nel diritto internazionale, vigesse la presunzione d’innocenza fino a prova contraria; che le potenze democratiche si distinguessero da quelle autoritarie, proprio nell’uso delle forze militari come strumento di difesa e non d’aggressione, e vorremmo che il principio di “guerra preventiva” fosse bandita. Quello di Trump (se l’ordine è stato davvero emanato da lui) è l’atto più sconsiderato che un Presidente USA abbia mai preso nella storia. Non solo è stata violata la sovranità nazionale altrui, ma l’attacco è da considerarsi un attentato terroristico.
Ma a prescindere dalla gravità morale in sé dell’azione, c’è da considerare quanto sia stata irresponsabile e gravida di conseguenze, perché Soleimani – che piaccia o meno – era considerato un eroe in patria, e dopo la sua uccisione, ne hanno fatto un martire, scatenando possibili reazioni da parte dell’Iran. Qualche opinionista già paragona l’uccisione di Soleimani a quella dell’arciduca Francesco Ferdinando che innescò la Grande Guerra del 14-18. Ci auguriamo che siano solo pessimismi, catastrofismi, ma certo il momento è grave e dobbiamo augurarci che la diplomazia riesca a placare le reciproche ostilità.
E se la probabile escalation in Medio Oriente e dintorni, è la prima e più urgente delle preoccupazioni, l’attacco trumpiano ha avuto anche una seconda conseguenza; quella di sbriciolare in poche ore il presunto “blocco sovranista”, sia in Italia che altrove. Per limitarsi al nostro Paese, le parole di Salvini sull’omicidio di Soleimani, è un puro esempio di sperticato sproloquio elogiativo di Trump, così infantile, irresponsabile, rozzo, che oltre ad essere lesivo degli interessi nazionali italiani, rivelano la sua totale inadeguatezza a ricoprire ruoli istituzionali (sebbene avesse già in passato dato altri succulenti esempi che evito qui di elencare). Molto più lungimiranti sono state le parole misurate di Giorgia Meloni che ha preso le distanze dal cosiddetto “Capitano”.
Questa divergenza profonda tra Meloni e Salvini, però, ci preoccupa profondamente, perché rende evidente che il Centrodestra che aspira ad andare al governo, non ha una politica estera condivisa. Un problema mica da poco. Ma la frattura è ancor più profonda perché non solo spacca la coalizione, ma anche i singoli partiti al loro interno, tra sovranisti “filoamericani” e “filorussi”; una divergenza che dilania anche il mondo giornalistico – culturale, con quotidiani come “Il Giornale” o “Libero” schierati con il blitz trumpiano e sguaiati come loro solito contro chi diverge, mentre altri, come “Il Secolo d’Italia” ha invece scelto ben altri toni e contenuti.
Non è “nostalgia canaglia fascistoide”. Non è per intenderci un segnale di rigurgiti nazionalistici antiamericani. È buon senso, di chi pur essendo deciso nella lotta contro terrorismo e fanatismo religioso, capisce che le parole sono pietre e i missili valanghe. Rischiamo una guerra in Medio Oriente che si potrebbe allargare in modo vertiginoso. Non c’è da scherzare. Le accuse che politici e giornalisti di area Centrodestra muovono a chi critica la decisione d’attacco di Trump, accuse di “antiamericanismo” o “antisemitismo”, oppure di “simpatie islamiste”, sono volgari e risibili, perché non tengono conto di due fattori: in primo luogo Soleimani può non esser stato un santo, ma a modo suo è stato un patriota che ha combattuto proprio contro il fondamentalismo islamista dell’Isis, al fianco di Putin e Assad, a differenza degli USA di Trump e Obama che non hanno fatto un fico secco.
In secondo luogo, chi tra noi, si allarma e invita alla cautela, non lo fa perché rimpiange il generale soppresso, bensì, perché è conscio delle possibili conseguenze. L’atto di Trump è stato sconsiderato, sproporzionato, scellerato, compiuto in barba al diritto internazionale e alla sovranità nazionale altrui; non ha indebolito il terrorismo islamista, bensì, l’ha rinfocolato, ricompattando il popolo iraniano (milioni di cittadini al funerale di Soleimani), e infondendo uno spirito di solidarietà islamica fra tutti i popoli arabi. Perciò chi teme il terrorismo e l’islamismo, dovrebbe esser concorde nel condannare senza appello l’atto di Trump; chi ha cuore gli interessi strategici occidentali, nonché le vite dei nostri soldati all’estero, dovrebbero evitare di dire banalità; chi infine considera Israele e gli ebrei, come nostri amici, dovrebbe comprendere che provocare in tal guisa una nazione potente, moderna e fortemente radicata religiosamente come l’Iran, minaccia la sicurezza stessa di Israele. A meno ché Trump – magari sollecitato da pressioni di lobby e poteri forti – non volesse cercare un “Casus belli”, un pretesto per provocare il tanto temuto scontro di civiltà al fine di completare l’unificazione del Nuovo Ordine Mondiale. E intanto i soldati turchi del sultano invadano la Libia, ad un passo dall’Italia, ma questa è un’altra storia.