Per chi suona la campana tedesca? Per chi suoni in Europa lo ha chiarito il Financial Times, megafono delle elite finanziarie anglosassoni e delle oligarchie europeiste, che ieri titolava “Fine dell’eccezione tedesca”.
La Germania che impone a Bruxelles scellerate politiche delle quali è la maggiore beneficiaria, il baluardo dell’euro, che peraltro si è ritagliato su misura, non è più immune dal “virus populista”.
Alla fine la tempesta antisistema che ha colpito, uno dopo l’altro, Regno Unito, USA e Francia è arrivata anche in quella che il FT definiva “l’isola tranquilla”, fino a ieri saldamente in mano alla “stabile e sicura” leadership di Frau Merkel alla guida di una rassicurante Grosse Koalition.
Da domenica le cose sono cambiate e al FT (e quindi alla City, a Wall Street e in genere nell’Europa della finanza) prendono atto con sgomento che la Germania è diventata un “normale paese europeo” (che sarebbe una connotazione negativa) e non potrà più ereditare il titolo di “paese guida dell’occidente”, secondo loro perso dagli USA per via di Donald Trump, e garantire quindi la stabilità degli interessi delle oligarchie.
Chi sperava che la artificiale vittoria di Macron, che con la legge elettorale tedesca non sarebbe mai stato in grado di governare, e la scontata conferma della Merkel avrebbero dato nuovo vigore alle fallimentari politiche europee promuovendo una maggiore integrazione e ulteriori poteri alle burocrazie di Bruxelles deve rivedere i suoi conti.
La Cancelliera resta in sella anche se il suo partito, la CDU, è ai minimi storici dal 1949 (come d’altra parte la SPD che segue il destino dei cugini olandesi del PvdA e dei socialisti francesi) e per formare un governo dovrà vedersela con i liberali del FDP, appena tornati al Bundestag ma nel frattempo divenuti euroscettici, e i Verdi mettendo insieme in una improbabile coalizione, che in Germania chiamano Giamaica, programmi che di per sé sarebbero incompatibili.
Di sicuro l’inseguimento a destra che verosimilmente la Merkel dovrà tentare nella sua quarta legislatura non porterà niente di buono ad un’Italia ancora in mano ad un governicchio imbelle e incompetente: la grossolana storiella germanica dei popoli meridionali che si sollazzano al di sopra delle loro possibilità a spese dei tedeschi virtuosi e laboriosi è già ricomparsa.
Jens Weidmann, il falco a capo della Bundesbank che potrebbe sostituire Mario Draghi alla BCE, non ha perso tempo e non si è fatto sfuggire le solite bacchettate nei confronti dell’Italia, che non avrebbe approfittato adeguatamente dell’opportunità del quantitative easing, il bazooka di Draghi, per ridurre il debito.
Debito che, in realtà, ha continuato a salire grazie alla politica scriteriata e senza logica di Renzi, delle sue mancette a pioggia e delle sue strampalate e fallimentari riforme che pagheremo carissime nei prossimi anni.
Ed arrivati all’Italia è il momento di chiedersi per chi suoni qui da noi la campana tedesca. A parte le implicazioni economiche di cui sopra, che saranno comunque pesanti, qualcuno dalle nostre parti la campana tedesca dovrebbe ascoltarla molto attentamente.
Sono i leader del cosiddetto centro destra che secondo i sondaggi di questi giorni potrebbe, debitamente riesumato, ottenere grandi risultati alle prossime elezioni.
Solo che osservando la situazione dal punto di vista politico e non solo puramente aritmetico, e avendo presente quello che è successo in Germania, sorge spontanea una domanda: ma il redivivo centro destra FI-Lega-FdI da che parte starà? O per meglio dire, da che parte starà Berlusconi?
Da quella dei sovranisti-identitari (che in Germania ora sono AFD) o da quella della Merkel e quindi del PPE?
Come faranno due partiti sovranisti a creare un’alleanza politica organica (e non il solito cartello elettorale ingestibile) con un partito “moderato” ed europeista (nel senso di inchinato ai poteri di Bruxelles)? Come si farà a tenere insieme in un contenitore unico posizioni così lontane?
Saranno ancora una volta le poltrone a mettere tutti d’accordo?
Domande alle quali dovrebbe rispondere prima di tutto Berlusconi, i cui interessi appaiono sempre più convergenti con quelli di Renzi e che oggi dopo anni di ostracismo e disprezzo viene di nuovo corteggiato appassionatamente dal PPE che lo considera un argine al “populismo” nostrano col quale però si dovrebbe alleare.
Manfred Weber, capogruppo del Ppe, ha dichiarato pochi mesi fa che “Forza Italia è l’unica forza di centro pro-Europa, riformatrice, fondata sui valori del Ppe e con un modello vincente. Un movimento su base nazionale, al contrario della Lega”, definendo “confermata” la leadership di Berlusconi nel centrodestra.
“Permettetemi di trasmettere un saluto del Ppe al prossimo presidente del Consiglio d’Italia, il presidente Silvio Berlusconi” ha rincarato la dose il segretario del PPE, lo spagnolo Antonio Lopez, “lui è un alfiere dei popolarismi, i suoi successi diplomatici, uniti alla sua pragmatica visione europea, ne fanno una delle risorse più importanti del nostra famiglia popolare”.
Corrispondenza di amorosi sensi debitamente ricambiata dall’interessato: “siamo molto fieri di essere i rappresentanti in Italia della grande famiglia della democrazia e libertà che è il Ppe e i valori del Ppe sono diventati i nostri assoluti valori. Personalmente mi ci ritrovo fino alle virgole e solo chi è nel Ppe ha vinto e vincerà le prossime elezioni in Europa”.
Una situazione idilliaca che però, in teoria, farebbe a pugni con la logica politica. A parte la questione della leadership (tutt’altro che scontata come ha fatto notare Giorgia Meloni) in Germania un’alleanza tra CDU (cioè PPE) e AFD sarebbe ovviamente impensabile.
Perché dovrebbe invece essere praticabile, anzi auspicabile, in Italia?
In teoria la distanza tra PPE e partiti sovranisti-identitari è incolmabile, per cui quand’anche un ipotetico novello centro destra riuscisse (al momento non si sa come) ad arrivare al governo cosa farà in Europa? Bacerà la pantofola della cancelliera, resterà succube dei diktat degli eurocrati in nome dell’Europa delle oligarchie o cercherà di difendere seriamente gli interessi nazionali? In altre parole si adeguerà alla politica del PPE o sosterrà le istanze sovraniste?
O magari in questo caso tertium datur: la soluzione ideale sarà un bell’accordo consociativo con il ragazzotto toscano in nome dei reciproci interessi convergenti, in Italia ed in Europa?
Di tutto questo, però, si parla poco.
I cani di Pavlov della sinistra, seguiti a ruota dai giornaloni delle oligarchie economiche (o di quello che ne resta) e dall’establishment politico intellettuale, come da copione sono troppo impegnati in pseudo analisi prive di senso, improponibili a nord di Chiasso.
Per loro in Germania sono solo piovuti misteriosamente dei marziani nazisti-razzisti-xenofobi che hanno portato la minaccia dell’estrema destra nel cuore dell’Europa e che festeggiano il successo in fumose birrerie popolate di ragazzi incappucciati in felpe nere e ubriaconi pieni di birra che inveiscono contro neri, musulmani e stranieri in genere.
Eppure in Germania un vero partito neonazista, l’NPD, c’è sempre stato, solo che non ha mai avuto nessun seguito. Evidentemente se oggi l’AFD è diventato in poco tempo il terzo partito del paese una ragione deve esserci, e non può essere solo una questione di “nazismo-razzismo-xenofobia”, altrimenti sarebbe andato benissimo l’NPD.
Ma nessuno ha voglia di farsi troppe domande.
Nemmeno a destra per la verità, dove prevalgono toni superficiali e trionfalistici senza chiedersi cosa sia e cosa voglia veramente l’AFD, che forse assomiglia più ai 5 stelle che alla destra politica italiana, con la quale in Europa troverebbe ben pochi punti di contatto.